
Terapie che combinano diverse molecole e con nuovi meccanismi di azione che determinano per i pazienti un aumento della sopravvivenza, una migliore qualità di vita e una minore tossicità. Si è svolta a Roma la terza edizione di BeCLose2 Hematology, una 2-giorni di confronto per esplorare le nuove frontiere dell’Ematologia e dei tumori del sangue attraverso una condivisione di esperienze e di evidenze scientifiche. “Esplorare nuovi approcci, terapie innovative e meccanismi di azione per accelerare il raggiungimento di progressi nella cura delle neoplasie ematologiche”, dichiara Annalisa Iezzi, medical director AbbVie Italia. “Da oltre 20anni siamo consapevoli che la migliore scienza nasce dall’attività dei nostri ricercatori e dalla collaborazione virtuosa tra le diverse parti, perché sono le connessioni che creano conoscenza. Innovazione in Ematologia vuol dire migliorare sia l’aspettativa che la qualità di vita delle persone.”
L’edizione 2023, dal titolo Creating New Connections, ha coinvolto 130 Ematologi provenienti da tutta Italia, con l’obiettivo di ottimizzare la gestione clinica del paziente e fare il punto sugli ultimi progressi della ricerca e della sperimentazione e sulle prospettive future dei meccanismi biologici alla base delle principali patologie ematologiche: la leucemia linfatica cronica, la leucemia mieloide acuta, il linfoma diffuso a grandi cellule, il mieloma multiplo e la mielofibrosi.
“L’utilizzo combinato di venetoclax con obinutuzumab o in combinazione con ibrutinib ha mostrato la capacità di indurre, in pazienti con leucemia linfatica cronica non precedentemente trattati, risposte profonde in assenza di evidenza di malattia residua”, dichiara Francesca Romana Mauro, professore associato presso l’Istituto di Ematologia dell’Università Sapienza di Roma. “Questo vuol dire che, dopo un approccio terapeutico di durata fissa, i pazienti possono beneficiare di un lungo periodo libero dalla necessità di trattamento. Dai dati di uno studio in cui venetoclax è stato combinato con ibrutinib – dati che vanno consolidati nel tempo – emerge che l’88% dei malati così trattati sono liberi, a 36 mesi, da segni di progressione della malattia. Inoltre, più della metà delle persone che vengono trattate con la combinazione di venetoclax e obinutuzumab, dopo 5 anni, è ancora libera da nuova terapia. Benché non si possa ancora guarire da questa patologia, con le nuove terapie la durata delle risposte e la qualità di vita migliorano sensibilmente.”
Accanto ai progressi avuti nel trattamento della leucemia linfatica cronica, si aggiunge il nuovo scenario terapeutico disponibile per la leucemia mieloide acuta. Il 1° aprile 2023 l’Aifa ha infatti approvato la rimborsabilità di venetoclax in combinazione con azacitidina, riconoscendone l’innovatività piena.
“La leucemia mieloide acuta rimane una malattia a prognosi negativa, soprattutto nel paziente anziano e, ancor di più, nell’anziano non in grado di ricevere una chemioterapia intensiva”, afferma il prof. Felicetto Ferrara, direttore della Divisione di Ematologia dell’AORN A.Cardarelli di Napoli. “Solo il 20% dei pazienti con età superiore ai 65 anni sopravvive a 5 anni. Le nuove armi oggi a nostra disposizione permettono di trattare in maniera efficace un numero più elevato di pazienti anziani e di ottenere una sopravvivenza mediana superiore di almeno 7-8 mesi rispetto alle terapie precedenti, aspetto importante se si commisura all’età spesso avanzata dei pazienti non eleggibili a chemioterapia intensiva. Le prospettive future, inoltre, sembrano ulteriormente positive, ma ci vorranno almeno altri 2-3 anni per averne contezza. L’impressione però è che le terapie basate, ad esempio, sulla combinazione fra venetoclax, che si lega alla proteina Bcl2, e l’azacitidina possano dare risultati importanti nella cura di questa malattia. Siamo insomma davanti a un approccio rivoluzionario che potrebbe non dico riscrivere ma sicuramente aggiornare la strategia terapeutica di questa patologia.”
“Nuovi farmaci e nuove molecole hanno rafforzato, negli ultimi anni, le armi per combattere il linfoma diffuso a grandi cellule B”, dichiara il prof. Pierluigi Zinzani, ordinario di Ematologia all’Università di Bologna. “Ne è un esempio il trattamento Car-T. Ma, ed è questa la novità più recente, stanno arrivando gli anticorpi bispecifici, come epcoritamab. Nello studio di fase 2, i risultati sono eclatanti: il 40% dei pazienti refrattari sottoposti a questa terapia ha ottenuto una remissione completa. Peraltro, il basso grado di tossicità permette di somministrare la terapia in regime di day hospital, con notevoli vantaggi per il paziente ma anche per il Sistema sanitario nazionale. Bisogna aspettare ancora 1 anno di follow-up ma se i dati, in termini di guarigione, dovessero darci ragione, avremo a disposizione un nuovo importantissimo strumento nel contrasto alla malattia.”
Buone anche le prospettive terapeutiche per i pazienti affetti da mieloma multiplo, un tumore maligno che colpisce alcune cellule del sistema immunitario e che interessa in particolare gli anziani: “Fino a poco tempo fa, la sopravvivenza dei pazienti oltrepassava di poco l’anno; oggi invece la malattia, grazie agli inibitori del proteosoma, agli immunomodulanti e agli anticorpi monoclonali, va sempre più cronicizzandosi”, afferma Maria Teresa Petrucci, dirigente medico presso l’Azienda Ospedaliera Policlinico Umberto I, Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione dell’Università Sapienza di Roma. “Le molecole di ultima generazione stanno poi ridisegnando la patologia e la sua cura. La percentuale di sopravvivenza è in crescita, ma il nostro compito ora è quello di migliorare anche la loro qualità di vita. Davanti a una malattia che sta diventando cronica, occorre intervenire per attenuarne complicanze come l’insufficienza renale o le fratture ossee. Questa sarà la sfida dei prossimi anni.”
“[Anche nel caso della mielofibrosi] stiamo ottenendo risultati con una combinazione di farmaci che colpiscono più target”, dichiara il prof. Francesco Passamonti, ordinario di Ematologia all’Università di Milano, direttore di Ematologia della Fondazione IRCCS del Policlinico di Milano. “L’impiego delle molecole ruxolitinib e navitoclax ha fatto registrare, in prima linea, la riduzione della milza nel 70% dei pazienti trattati, la riduzione del carico mutazionale JAK2 nel 53% e la riduzione di un grado della fibrosi midollare nel 30-35%. Non sappiamo ancora cosa questo voglia dire sulle aspettative di vita delle persone colpite dalla malattia, ma sappiamo, in seconda linea, che rispetto alle tecniche tradizionali l’efficacia di questa nuova terapia impatta positivamente sulla sopravvivenza, con effetti biologici e clinici molto evidenti.”