Le cisti ossee giovanili possono manifestarsi anche nella prima infanzia, tra i 7 e i 9 anni. Sono quasi sempre asintomatiche e la loro presenza viene scoperta, nella maggior parte dei casi, in occasione di quelle che vengono definite “fratture patologiche”, ovvero “una frattura che avviene a seguito di un evento minore che in condizioni normali non l’avrebbe causata”, spiega Cosimo Gigante, direttore dell’UOSD di Ortopedia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova e presidente uscente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica, intervenuto sul tema nel corso della seconda e ultima giornata di lavori del XXIII Congresso della SITOP, conclusosi a Napoli. “In casi più rari, tuttavia, la cisti può essere sintomatica generando dolore a livello della spalla, quando è sull’omero, e dell’anca quando la formazione è sul femore. Di qui l’opportunità che sintomatologie di dolore localizzate e persistenti vadano indagate con la radiografia.”
A causare le fratture patologiche nei bambini e ragazzi è proprio la natura stessa delle cisti ossee che: “È una zona in cui l’osso è semplicemente ‘scomparso’”, prosegue Gigante. “In particolare, le cisti ossee interessano le ossa lunghe, quindi omero e femore, insieme alle zone circostanti, quindi spalla e anca. Dal punto di vista della patologia ossea, in età pediatrica è considerata comune, ma non per questo particolarmente diffusa. In un centro di riferimento per l’Ortopedia pediatrica può capitare di osservare 4-8 cisti l’anno in funzione del proprio bacino di utenza. Non c’è predisposizione da quanto si sa non è una malattia geneticamente determinata, né è conosciuta la causa che ne provoca la formazione, anche se a volte viene collegata a un trauma pregresso.”
DIAGNOSI CISTI OSSEA. QUALI SONO LE OPPORTUNITÀ TERAPEUTICHE DISPONIBILI
“Dalla radiografia, la cisti risulta facilmente riconoscibile a un occhio esperto. Quando si presenta molto aggressiva può essere approfondita con una risonanza magnetica”, spiega Gigante. “Il trattamento consiste innanzitutto nell’immobilizzazione della frattura, nel caso delle localizzazioni omerali, e nell’inchiodamento, nel caso delle localizzazioni femorali. Dopo che la frattura è guarita, si esegue una biopsia e si inizia un trattamento di infiltrazioni. Tra le nuove possibilità di trattamento, quello più diffuso – perché meno invasivo – molto efficace e poco costoso è l’infiltrazione a base di cortisone che secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica si rivela efficace in un numero elevato di casi (50-60%)”, dichiara. “Esistono però cisti che non guariscono e altre che recidivano per le quali si utilizzano degli stimolatori biologici della osteo-produzione, introdotti recentemente, che vengono somministrati con infiltrazioni di midollo osseo autologo, più frequentemente addizionato a matrice ossea demineralizzata di banca. Quest’ultima soluzione, insieme all’inchiodamento di queste cisti, quasi obbligatorio nel caso in cui sia interessata la zona femorale, ha considerevolmente aumentato la percentuale di successo, portandola vicino al 90%. Esistono poi delle cisti refrattarie al trattamento che richiedono il ricorso alla chirurgia aperta o curettage, cioè la pulizia della cisti e il successivo posizionamento di innesti ossei prevalentemente di banca. In questo caso addizionati di fattori che promuovono la rigenerazione ossea, cioè il concentrato midollare autologo e la matrice ossea demineralizzata.”
“La prognosi è di solito favorevole ma al momento della diagnosi noi non sappiamo se ci troviamo di fronte a una cisti che guarirà o saremo impegnati in una lunga battaglia in cui, dopo aver eseguito tutti i trattamenti possibili, saremo poi costretti a ricorrere alla chirurgia aperta”, dichiara ancora Gigante. “Il destino della cisti è però sempre segnato, perché alla fine ne abbiamo ragione anche per il fatto che normalmente l’attività osteolitica di queste cisti tende naturalmente a esaurirsi con il raggiungimento della maturità scheletrica. La ricerca dedicata a suddetta specifica patologia si sta muovendo soprattutto sul fronte dei fattori rigenerativi utilizzati nel trattamento e dell’individuazione, nella biochimica di queste cisti, di elementi che possano aiutarci a definire la prognosi e quindi modulare il trattamento, anche in base all’aggressività della patologia.”
Le cisti ossee giovanili sono solo uno dei temi affrontati durante il Congresso, insieme all’epifisiolisi dell’anca, gli osteosarcomi, la scoliosi. “Poiché in letteratura sono presenti orientamenti molto diversi nel trattamento delle cisti – conclude Gigante – abbiamo ritenuto fosse arrivato il momento di fare il punto sui nuovi procedimenti di trattamento. Abbiamo raccolto, elaborato e analizzato molti dati dai quali sono scaturite sicure evidenze che ci consentono di dire, con assoluta certezza, che questi strumenti permettono di migliorare la prognosi del trattamento rispetto alle metodiche più tradizionali, che non possiamo comunque considerare superate.”