In tutta Europa l’acido obeticolico, usato da anni per controllare la progressione della colangite biliare primitiva CBP, rara malattia del fegato che colpisce soprattutto le donne, rischia di non essere più disponibile per i pazienti. Il 03 settembre 2024, infatti, la Commissione Europea ne ha revocato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata (AIC condizionata), ratificando la raccomandazione del Comitato per i Medicinali per Uso Umano CHMP dell’Agenzia Europea per i Medicinali. Tale raccomandazione non riporta alcuna preoccupazione sulla sicurezza dell’acido obeticolico e riflette la valutazione del rapporto rischio/beneficio complessivo effettuata dal Comitato, basandosi in gran parte su 1 singolo studio (il Cobalt) randomizzato controllato con placebo, con molteplici limitazioni, e non tiene in adeguata considerazione una grande quantità di evidenze raccolte nella pratica clinica (real-world evidence, RWE) e il consenso degli esperti, si legge in un comunicato dell’Osservatorio Malattie Rare OMaR.
Successivamente, il 05 settembre 2024 è giunta la notizia che la Corte di Giustizia Europea ha sospeso temporaneamente la decisione della Commissione Europea: ciò significa che, fino a nuovo avviso, il farmaco potrà continuare a essere prescritto a nuovi pazienti e a chi ne faceva già uso in regime di rimborsabilità; solo in Italia sono 1.400 le persone che lo utilizzano, seguite in oltre 150 Centri di Epatologia. Se nel prossimo futuro la decisione della Commissione Europea dovesse però essere confermata – prosegue la nota – il farmaco potrebbe non essere più accessibile non solo per i nuovi pazienti, ma anche per quelli già in trattamento. Una prospettiva che preoccupa l’intera comunità dei pazienti con CBP, che chiede di utilizzare questo periodo di sospensione per trovare una soluzione che tuteli, nella sventurata ipotesi di conferma della decisione della Commissione Europea di revoca dell’AIC del farmaco, almeno la continuità terapeutica per i pazienti che traggono benefici dal trattamento.
L’acido obeticolico è autorizzato al commercio in Italia dal 2017, come unica opzione terapeutica di seconda linea per i pazienti che non hanno un adeguato controllo della malattia con la prima linea a base di acido ursodesossicolico. Inoltre, è stato utilizzato con successo in pratica clinica per 7 anni e sono stati raccolti dati post-marketing relativi alla sicurezza di più di 40mila pazienti/anno, confermando un profilo di sicurezza ben definito. Infine, al momento non esiste alcuna alternativa terapeutica di seconda linea e, in ogni caso, laddove nei prossimi mesi dovessero essere disponibili alternative terapeutiche per la CBP queste agirebbero con meccanismi d’azione diversi dall’acido obeticolico. Nessuno studio è stato fatto sugli effetti e la responsiveness dei pazienti in trattamento con acido obeticolico nel caso di switch, si legge ancora nel comunicato.
La vicenda e le possibili soluzioni volte a garantire la continuità terapeutica sono state al centro di una conferenza stampa organizzata da OMaR, in collaborazione con AMAIF Aps Ets e con il contributo non condizionante di Advanz Pharma, a ridosso della Giornata Mondiale di Sensibilizzazione CBP, celebrata lo scorso 08 settembre 2024.
“La colangite biliare primitiva è una malattia rara, autoimmune grave e progressiva del fegato che colpisce prevalentemente le donne con un rapporto femmine-maschi di 9:1 e provoca una patologia cronica con possibilità di andare verso la cirrosi e il trapianto di fegato”, dichiara la prof.ssa Annarosa Floreani, studiosa senior presso l’Università di Padova, consulente scientifico all’IRCCS di Negrar, Verona. “Se non si trova subito una soluzione, il rischio è di tornare indietro di oltre 7 anni, ad uno stadio precedente all’entrata in commercio di questo farmaco, cioè di una malattia che può avere una progressione, mettendo a rischio la vita delle persone e diminuendone sensibilmente la qualità. Altri trattamenti sono in fase di sviluppo, ma attualmente non sono ancora disponibili per i pazienti e non sono dimostrati nella pratica clinica. Inoltre, hanno meccanismi d’azione diversi e non sono quindi intercambiabili con l’acido obeticolico. È pertanto fondamentale che i medici abbiano a disposizione un’ampia varietà di trattamenti per la cura dei pazienti affetti da CBP.”
Una delle possibili soluzioni discusse, già emersa da 2 interrogazioni parlamentari presentate dalla sen. Elisa Pirro e dal sen. Ignazio Zullo, membri della Commissione X Affari Sociali, Sanità, Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale, depositate l’08 agosto scorso, è quella di applicare l’art. 117.3 della Direttiva 2001/83 CE, recepito in Italia dall’art. 43 del Decreto del Ministero della Salute del 30 aprile 2015: “La norma, che fino ad oggi non è mai stata applicata, prevede che, in caso di revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco, le autorità nazionali competenti possano, in circostanze eccezionali, continuare a consentirne la fornitura ai pazienti già in cura”, dichiara Pirro. “Sembrerebbe proprio applicabile per questa situazione e mi auguro che possa essere presa in considerazione.”
“Applicare l’art. 117 sarebbe auspicabile, anche considerando il fatto che la revoca non ha riguardato motivi di sicurezza del farmaco e che per queste persone ad oggi non c’è alternativa”, afferma Zullo. “Sono a disposizione per supportare la comunità CBP nel portare questa soluzione, o eventuali altre, all’attenzione delle Istituzioni.”
“Alla luce della decisione della Commissione Europea, che potrebbe essere confermata dopo la sospensione, chiediamo che siano tutelate tutte quelle persone che ad oggi sono in trattamento con l’acido obeticolico e ne traggono un beneficio, almeno fino a quando non saranno disponibili nuove terapie”, dichiara Davide Salvioni, presidente dell’Associazione Malattie Autoimmuni del Fegato AMAF. “Da considerare anche che questo farmaco non ha dato problemi di sicurezza, negarlo sulla base di uno studio condotto con un bias di metodo è ingiusto verso i pazienti.”
“Questo caso presenta diverse anomalie: ad esempio il fatto che negli Stati Uniti lo stesso farmaco è regolarmente in commercio; [il fatto] che Ema da una parte raccomanda il ritiro del farmaco, ma nello stesso tempo afferma che i pazienti in terapia possono continuare attraverso programmi di uso compassionevole; che non viene presa nella dovuta considerazione l’opinione dei pazienti e dei loro rappresentanti; che ritirare dal commercio un farmaco dopo 7 anni dalla sua approvazione non è normale”, dichiara Ivan Gardini, presidente dell’Associazione EpaC ETS. “Ci sono anche altre anomalie che dovrebbero far capire, a tutti coloro che sono coinvolti nei processi di approvazione dei farmaci su malattie rare, che in futuro sarà necessario disegnare protocolli di studio diversi e successivamente tenere in considerazione i dati di real-world evidence disponibili per la valutazione di un farmaco. Nell’immediato, intanto, serve una soluzione per tutelare la continuità terapeutica di molti pazienti che traggono vantaggio dalla terapia e mi aspetto che l’Agenzia Italiana del Farmaco, proprio a fronte di evidenti e numerosi punti interrogativi, decida di eseguire ulteriori approfondimenti in maniera autonoma, ascoltando la comunità scientifica italiana e le associazioni di pazienti prima di eseguire un eventuale provvedimento di interruzione terapeutica con ricadute pericolose per una quota parte di pazienti che traggono benefici dal trattamento.”