Cuore e colesterolo. Confermate efficacia e compliance degli anticorpi monoclonali anti-PCSK9

Le malattie cardiovascolari si confermano la prima causa di morte in Italia e nel mondo. Per ridurne l’incidenza, occorre portare ai livelli indicati dalle linee guida internazionali il colesterolo LDL, tra i fattori di rischio modificabili. Tuttavia, nella pratica clinica solo una piccola percentuale di pazienti raggiunge tale obiettivo. Nuove evidenze per chi soffre di dislipidemia arrivano dal più ampio studio italiano in real life: gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 consentono una riduzione del colesterolo LDL del 65% circa e un’ottimale compliance al trattamento, con il 97% di pazienti ancora in terapia a 18 mesi con aderenza pari al 95%. Lo studio At-Target-IT di fase IV, multicentrico, osservazionale e retrospettivo ha reclutato 798 pazienti in 10 centri italiani in terapia con anticorpi monoclonali anti-PCSK9. Il 68% dei pazienti aveva una malattia cardiovascolare aterosclerotica clinicamente evidente, mentre il restante 32% era in prevenzione primaria. “I pazienti nel mondo reale hanno valori di colesterolo LDL elevati, per esempio nel caso di quelli reclutati nello studio erano superiori ai 140 mg/dL”, dichiara Pasquale Perrone Filardi, direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università Federico II di Napoli. “Per raggiungere i livelli target di LDL, gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 si confermano farmaci molto potenti: se negli studi di fase 3 hanno ridotto il colesterolo del 59%, la riduzione osservata nel nostro studio è stata quasi del 65%, portando i pazienti a rischio alto o molto alto a 51,5 mg/dL al momento dell’ultima osservazione e con una compliance al trattamento che supera il 95%.”

Lo studio ha valutato la persistenza in terapia a 6-12-18 mesi dalla prescrizione. Dopo i primi 6 mesi, il 99,7% dei pazienti stava proseguendo la terapia. Al momento della pubblicazione dello studio, nei pazienti con un follow-up superiore a 12 e a 18 mesi la persistenza è stata rispettivamente del 98,1 e del 97,5%. Per quanto riguarda l’aderenza, 760 dei 798 pazienti (95,2%) si sono dimostrati altamente aderenti al trattamento. “Sul 20% dei pazienti dello studio abbiamo visto un utilizzo precoce di queste terapie”, afferma Filardi. “Questo è molto importante perché oggi in Italia, grazie alla possibilità di avvalersi di queste terapie durante il ricovero ospedaliero per un infarto, abbiamo la possibilità di intervenire sempre più precocemente sul rischio residuo, nella fase più vulnerabile successiva a un evento cardiovascolare, così da diminuire il rischio di andare incontro a un nuovo evento.” Lo studio è stato pubblicato su Atherosclerosis.