“Il diabete aumenta il rischio di infarto del miocardio e malattia renale cronica, ma solo 1 paziente su 10 ne è consapevole”

Le persone con diabete hanno un rischio 2-3 volte maggiore di infarto del miocardio e 2-5 volte maggiore di scompenso cardiaco, rispetto alla popolazione non diabetica. Non solo: il 40% dei pazienti sviluppa malattia renale cronica, ma tra i circa 4milioni di Italiani che convivono con la patologia appena 1 su 10 ne è consapevole. Questi alcuni dei temi di cui si è discusso nei giorni scorsi a Roma nel corso del media talk dal titolo Diabete Cuore Reni. Le Connessioni Pericolose. Rischi Noti e Meno Noti nel Circuito Cardionefrometabolico, promosso da Boehringer Ingelheim e Lilly, e che ha coinvolto Diabetologi, Nefrologi e Cardiologi. Al centro dell’evento, l’approccio olistico, confermato e incoraggiato dalle Linee Guida 2024 della European Society of Cardiology ESC per l’ipertensione.

Le evidenze scientifiche e la pratica clinica dimostrano ormai che curare il diabete guardando solo alla glicemia non è sufficiente. Il diabete – viene ribadito nel corso dell’incontro – va infatti interpretato nella sua dimensione più ampia quale fattore di rischio cardiovascolare, renale e metabolico. Curarlo significa quindi non solo ridurre i valori glicemici ma anche, e soprattutto, proteggere i pazienti dal danno d’organo, valutando le connessioni pericolose tra cuore, rene e metabolismo, con un approccio multidisciplinare: esami del sangue e delle urine, diagnosi precoce del danno d’organo e utilizzo anticipato di farmaci innovativi sono gli interventi necessari che, oltre a migliorare il controllo glicemico, proteggono il rene e il cuore, prevenendo complicanze severe quali malattia renale cronica ed eventi cardiovascolari fatali.

I sistemi cardiovascolare, renale e metabolico sono interconnessi e condividono numerosi fattori di rischio e patwhway patologici nel continuum della malattia. Il mancato funzionamento anche di uno solo di questi sistemi comporta ripercussioni a cascata su tutti gli altri, determinando un aumento del rischio di mortalità per cause cardiovascolari. “Il diabete raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari e la mortalità conseguente a infarto e ictus”, dichiara Salvatore A. De Cosmo, presidente eletto dell’Associazione Medici Diabetologi AMD, direttore di Medicina Interna-Endocrinologia all’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. “Per questo, l’obiettivo principale oggi nella gestione della persona affetta da diabete è quello di trattare in maniera integrata la malattia diabetica, con una speciale attenzione alle correlazioni nefro-cardio-metaboliche e al mantenimento in salute degli organi bersaglio. In definitiva, se soffre il cuore, il rene ne risente; se soffre il rene, ne risente il cuore. L’approccio terapeutico legato ai nuovi farmaci antidiabetici consiste nel tentare di proteggere il rene per salvare il cuore, e viceversa. A questo si deve aggiungere una presa in carico del paziente diabetico da parte di un team multispecialistico dedicato. In questo caso è dimostrato che i pazienti seguiti a 360° hanno un’aspettativa di vita migliore.”

La malattia renale cronica è una condizione patologica progressiva associata a un alto rischio di mortalità e morbidità, sia perché può essere il preludio allo sviluppo della malattia renale allo stadio terminale (esrd o eskd, end-stage kidney disease) sia perché è fattore di rischio cardiovascolare e di mortalità generale. “Il diabete può compromettere la salute dei reni in diversi modi: tra questi, elevati livelli di glucosio sul glomerulo, l’unità filtrante che a causa dello stress ossidativo con il tempo muore, e l’elevata pressione all’interno del glomerulo, considerando che il 95% dei pazienti diabetici sono anche ipertesi”, afferma Angelo Avogaro, presidente della Società Italiana di Diabetologia SID. “Man mano che il rene perde la sua capacità di filtro aumenta la produzione di creatinina nel sangue e la presenza di albumina nelle urine. Nella fase iniziale, che dura anni, l’insufficienza renale è asintomatica. Per il paziente con diabete è obbligatorio sottoporsi regolarmente agli esami per valutare la funzione renale. In secondo luogo, è opportuno mantenere la glicemia nel tempo quanto più bassa possibile. Terzo, utilizzare le glifozine, farmaci che hanno la particolare capacità di ridurre la pressione dentro il glomerulo renale e quindi lo proteggono dall’insulto ‘emodinamico’.”

Le connessioni tra diabete, ipertensione, diabete, cardiopatie e obesità sono confermate dallo studio epidemiologico Carhes, condotto in Italia da SIN, ANMCO e Iss: ciascuna di queste condizioni rappresenta un fattore di rischio per la malattia renale cronica e richiede un monitoraggio particolare per favorire la diagnosi tempestiva. “La progressione della Malattia renale cronica può essere rallentata dalle terapie disponibili per ipertensione e diabete, alcune di uso consolidato come gli ace-inibitori e i sartani, altre innovative come le glifozine, considerate terapie di prima linea dalle Linee Guida”, dichiara Luca De Nicola, presidente eletto della Società Italiana di Nefrologia SIN, ordinario di Nefrologia del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate DAMSS, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. “Queste, da prescrivere insieme agli inibitori del sistema renina-angiotensina, hanno dimostrato un beneficio in termini di nefroprotezione e sono in grado di rallentare in modo significativo la progressione della malattia e di eventi cardiovascolari, fatali e non fatali. Queste opportunità terapeutiche devono andare di pari passo con azioni mirate ad intercettare precocemente la presenza di una malattia renale, specialmente nei soggetti ad alto rischio di svilupparla, in primis diabetici, ipertesi, cardiopatici ed obesi.”

Cuore e rene non vanno quindi considerati secondo una visione “a silos” ma sinergica che coinvolge diverse figure specialistiche al fine di preservare, o quanto meno limitare, il danno d’organo e ottenere i migliori risultati attesi per il paziente. Un approccio ribadito anche nelle più recenti Linee Guida dell’Esc che suggeriscono di utilizzare gli Sglt-2 inibitori, farmaci innovativi sviluppati inizialmente per il trattamento del diabete, per prevenire l’eventuale progressione del danno renale nei pazienti con malattia ipertensiva, con o senza diabete. “Oggi gli Sglt-2 inibitori trovano spazio non solo nella cura del diabete ma anche nella prevenzione del danno renale in tutte quelle categorie di pazienti che mostrano un rischio di sviluppo di danno renale avanzato”, dichiara Furio Colivicchi, past president dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri ANMCO, vicepresidente della Federazione delle Società Medico-Scientifiche Italiane FISM, direttore di Cardiologia Clinica e Riabilitativa all’Ospedale San Filippo Neri di Roma. “Le recenti Linee Guida Esc 2024 suggeriscono l’utilizzo degli Sglt-2 in tutti quei casi in cui il paziente è iperteso, o più in generale presenti una malattia cardiovascolare, e quando i valori del filtrato glomerulare scendono al di sotto di 60ml/min segnalando già la presenza di una insufficienza renale di grado modesto, oppure quando i valori del filtrato glomerulare scendono al di sotto di 45 ml/min e il danno renale è più avanzato. Gli Sglt-2 inibitori, come ad esempio empagliflozin, si sono dimostrati capaci di ridurre in modo molto significativo il rischio di progressione della malattia renale. L’utilizzo degli Sglt-2 viene incoraggiato dalle linee guida anche nei pazienti non diabetici ma ipertesi e con valori del filtrato glomerulare al di sotto di 45ml/min oppure proteinuria.”

La malattia renale è asintomatica: la mancanza di campanelli d’allarme, ad eccezione dell’aumento della pressione arteriosa, favorisce la progressione della patologia verso dialisi e trapianto. “A questa progressione silenziosa si può ovviare attraverso l’esame del sangue per il dosaggio della creatinina e l’esame delle urine per ricercare eventuale presenza di albumina o di globuli rossi”, dichiara Massimo Morosetti, presidente della Fondazione Italiana del Rene FIR, direttore di Nefrologia dell’Ospedale Grassi di Ostia Asl Roma 3. “Questi 2 semplici esami consentono una prima valutazione della funzionalità renale. Alcune categorie di pazienti come i diabetici, gli obesi, chi soffre di ipertensione o vasculopatie e chi ha familiarità per malattia renale, dovrebbero sottoporsi con regolarità ad un esame del sangue e delle urine. Per invertire la tendenza – prosegue – bisogna intervenire sulla diagnosi precoce e sul trattamento con i nuovi farmaci che, utilizzati in fase precoce, sono in grado di proteggere il rene e di rallentare o bloccare la progressione della malattia renale. È importante rivolgersi sempre al Nefrologo, che è lo Specialista dei reni in grado di prendere in carico il paziente all’interno di uno specifico percorso di assistenza e cura.”

In questa direzione è la proposta di legge sostenuta SIN e FIR, e firmata dal vicepresidente della Camera dei Deputati, onorevole Giorgio Mulè, per promuovere lo screening proattivo della malattia renale cronica da parte dei Medici di Medicina Generale.