È una vera e propria pandemia, quella del diabete, con circa 400 milioni di pazienti diagnosticati nel mondo, un numero imprecisato di casi sommersi e un incremento delle diagnosi stimato del 20% entro il 2030. Un’emergenza sociale e sanitaria anche per l’Italia, dove si stimano oltre 3 milioni di pazienti. Nel nostro Paese il diabete assorbe il 10% della spesa sanitaria (Osservatorio ARNO 2015), costi legati per oltre il 50% alle ospedalizzazioni rese necessarie dalle complicanze, che determinano ogni anno 12.000 ricoveri per 100.000 pazienti. Le importanti innovazioni terapeutiche degli ultimi anni, insieme alla diagnosi precoce, sono elementi cruciali per controllare meglio le complicanze, ma è altrettanto importante favorire un cambiamento di rotta da parte dei pazienti affinché imparino a gestire quotidianamente la patologia attraverso l’aderenza alla terapia e l’adozione di stili di vita adeguati. Specialisti, decisori, associazioni, mass media non devono “lasciare soli” i pazienti diabetici e devono capire il drammatico impatto che hanno tanto il diabete di tipo 1, che cambia il corso della vita di bambini e adolescenti, quanto quello di tipo 2, che insorge in età adulta ed è spesso associato ad altre patologie. Questo il tema del Corso di Formazione Professionale “I Due Volti del Diabete. Raccontare la Patologia Oggi tra Innovazione, Sostenibilità e Bisogni del Paziente”, promosso dal Master della Sapienza Università di Roma La Scienza nella Pratica Giornalistica, con il supporto di Eli Lilly.
“Il diabete è un’emergenza socio-sanitaria che mette a rischio la sostenibilità dei sistemi economici,al punto che l’ONU ha considerato questa patologia una minaccia per tutte le società, inclusi i Paesi in via di sviluppo dove il paziente si presenta al medico già con le complicanze, cui sono associati nei Paesi occidentali il 60-70% dei costi diretti – dichiara Francesco Dotta, Direttore U.O. di Diabetologia, Dipartimento di Medicina Interna, Endocrinologia e Metabolismo del Policlinico Le Scotte, Università di Siena – occorre una strategia forte di prevenzione primaria improntata a correggere lo stile di vita e la dieta ma volta anche ad ottenere una diagnosi precocissima, con screening della popolazione a rischio: persone sopra i 45 anni con più di un fattore di rischio (obesità, ipertensione, ipercolesterolemia) e con un diabetico in famiglia.”
Il diabete di tipo 2 è una malattia complessa e complesso è il suo trattamento che con il passare degli anni di malattia si evolve passando da una terapia orale alla terapia iniettiva, da una terapia combinata alla politerapia. Il trattamento del diabete di tipo 1 si basa sulla terapia insulinica con iniezioni giornaliere multiple o con infusione sottocutanea continua. L’obiettivo è normalizzare i valori glicemici e di emoglobina glicata e ridurre quanto più possibile le ipoglicemie, in particolare quelle notturne.
“Nel diabete di tipo 1 a insorgenza giovanile le nuove terapie, insieme a una diagnostica meno invasiva, hanno migliorato la qualità di vita dei pazienti: il monitoraggio della glicemia con la puntura al dito è ormai obsoleto, il paziente collabora di più, conosce la sua patologia, si verificano meno ipoglicemie e si riesce ad aggiustare la terapia insulinica”, afferma Paolo Pozzilli, Professore Ordinario di Endocrinologia, Direttore U.O.C. di Endocrinologia e Diabetologia, Università Campus Biomedico di Roma.
L’impatto del diabete di tipo 2 è aggravato dalla circostanza che spesso il paziente diabetico è afflitto da almeno due, tre patologie associate e, dopo alcuni anni di malattia non controllata, da complicanze più o meno severe. Fondamentali, quindi, la gestione integrata della malattia, una rigorosa appropriatezza prescrittiva per ottenere i maggiori benefici clinici ed evitare spreco di risorse, ma anche una scrupolosa aderenza alla terapia da parte del paziente, che può evitare o ridurre le complicanze.