
L’emicrania è la seconda malattia più disabilitante nel mondo, interessando più di 1miliardo di persone, di cui 6milioni solo in Italia, con una maggiore prevalenza nelle donne, in un rapporto 3:1; le donne manifestano attacchi più frequenti, di intensità e durata maggiori rispetto agli uomini. L’emicrania cronica, in particolare, colpisce l’1-2% della popolazione globale. I temi sono stati affrontati nei giorni scorsi nel corso dell’evento Emicrania: una Storia di Tempo Ritrovato, promosso da AbbVie, con la partecipazione di Clinici, Associazioni pazienti ed esperti che si sono ritrovati a Milano per confrontarsi sui concetti di prevenzione e libertà e per delineare le prospettive future nella gestione della malattia.
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera una giornata vissuta con emicrania severa invalidante quanto una giornata vissuta con demenza, tetraplegia o psicosi acuta”, dichiara la prof.ssa Simona Sacco, ordinario di Neurologia, Università degli Studi dell’Aquila, direttrice UOC Neurologia e Stroke Unit Avezzano-Sulmona-L’Aquila. “E questo dato è ancor più significativo se si tiene conto del fatto che l’emicrania, spesso, si manifesta nella fascia di età tra i 25 e i 55 anni, quindi nella fase più attiva e produttiva della vita.”
TERAPIA DI PREVENZIONE
“Oggi, dopo numerosi anni di studi, sono disponibili trattamenti specifici in grado di bloccare l’azione del CGRP (peptide correlato al gene della calcitonina) e così prevenire gli attacchi”, afferma Pierangelo Geppetti, professore emerito di Farmacologia Clinica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università di Firenze. “Gli obiettivi principali di una terapia preventiva, che generalmente viene prescritta quando il paziente riferisce 4 o più giorni al mese di emicrania, sono quelli di ridurre la frequenza e l’intensità degli attacchi e migliorare la qualità di vita del paziente, riportandolo ad una normale efficienza fisica. L’ottimo profilo di efficacia e di sicurezza degli anticorpi monoclonali anti-CGRP e, più recentemente, dei gepanti, ovvero piccole molecole dirette contro il recettore del CGRP, costituisce la base per un vero e proprio cambio di paradigma nella terapia dell’emicrania, ora più efficace e sicura rispetto alle precedenti cure. Atogepant è, ad oggi, l’unico gepante rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale per il trattamento preventivo dell’emicrania negli adulti che presentano 8 o più giorni di emicrania al mese.”
GESTIONE DEI PAZIENTI CON EMICRANIA
“Nella gestione attuale dei pazienti con emicrania, diventa sempre più importante cercare di concentrarci nel garantire più giorni liberi dalla malattia e senza attacchi invalidanti”, dichiara la prof.ssa Cristina Tassorelli, ordinario di Neurologia, Università di Pavia, direttore dell’Headache Science Center dell’Istituto Neurologico Mondino di Pavia. “La decisione di iniziare una terapia di prevenzione dipende dalla frequenza degli attacchi, durata e gravità oltre che da quanto questi incidono negativamente sulla qualità di vita delle persone. Nello scenario terapeutico della prevenzione dell’emicrania, atogepant è una nuova opzione che si è rivelata efficace. I dati che provengono dagli studi clinici ci dicono che, negli studi a lungo termine in aperto, quasi la metà delle persone con emicrania episodica ha ottenuto la totale libertà dall’emicrania, nell’ultimo mese di trattamento con atogepant a 1 anno di terapia.”
“Lo scenario terapeutico è completamente cambiato rispetto a 10 anni fa, ma c’è ancora tanto da fare per combattere lo stigma e l’isolamento delle persone che soffrono di emicrania. Siamo davanti una storia di tempo ritrovato, grazie a nuove opzioni terapeutiche efficaci e specifiche che possono contribuire a migliorare la qualità di vita dei pazienti”, dichiara Alessandra Sorrentino, presidente dell’Alleanza Cefalalgici Al.Ce e di Fondazione CIRNA. “Purtroppo, nonostante siano milioni le persone che convivono con questa patologia complessa, è sempre molto forte la mancata comprensione del dolore e delle difficoltà ad essa associate, come se non ci si rendesse conto di quanto possa essere disabilitante. Gli attacchi possono essere così forti da impedire di compiere anche le più semplici attività quotidiane e la paura di un imminente attacco condiziona la relazione con la patologia, impattando psicologicamente la quotidianità. Il ruolo delle Associazioni dei pazienti – prosegue – diventa sempre più centrale nel valorizzare e far coincidere l’innovazione, che oggi abbiamo a disposizione grazie alla ricerca, con una migliore esperienza con la malattia. Tanta ancora la strada da fare ma l’importante è farla insieme.”