Alcune varietà di riso avrebbero un valore di indice glicemico che varia da 49 a 92, con una una media pari a 66,8, in linea con altri cereali. Secondo i valori di riferimento dell’Oms, l’indice glicemico è considerato basso se inferiore a 55; medio tra 56-69; alto se superiore a 70. In particolare, 2 varietà di riso italiane già in coltivazione, Selenio e Argo, avrebbero un indice glicemico rispettivamente di 49,2 e 50,5, valori notevoli se paragonati al 70 del pane bianco e al 100 dello zucchero, parametro usato come riferimento. Il progetto di ricerca è stato realizzato grazie a studi finanziati dall’Ente Nazionale Risi, in collaborazione con l’Università di Pavia e il Politecnico di Torino. “Il riso è un prodotto sano, indicato per tutti e per la prima volta abbiamo a disposizione un lavoro scientifico che lo dimostra”, dichiara Paolo Carrà, presidente Ente Nazionale Risi. “Il riso lavorato da sempre viene ritenuto un alimento ad alto indice glicemico, e quindi da consumare raramente e con cautela da parte dei diabetici. Questa ricerca sfata questo mito negativo. Mette in evidenza inoltre come anche alcune varietà di riso possano rientrare a pieno titolo in una dieta alimentare con un carico glicemico idoneo per coloro che presentano una patologia iperglicemica.”
L’indice glicemico è un sistema di valutazione che viene utilizzato solo per i cibi che contengono carboidrati, come il riso per l’appunto. Quelli con un alto indice glicemico contengono glucidi che hanno la capacità di rendere l’alimento “metabolizzabile” più velocemente con un aumento della glicemia. “Lo scopo di questo nostro studio è stato quello di valutare l’indice glicemico e l’amilosio di 25 varietà di riso Japonica”, dichiara Mariangela Rondanelli, dell’Università di Pavia. “Abbiamo quindi coinvolto 10 volontari sani e non fumatori, che tra giugno 2021 e marzo 2022 sono stati sottoposti a regolari misurazioni per valutare la risposta glicemica, sia con alimenti di riferimento sia con le qualità di riso. I risultati hanno dimostrato per la prima volta che all’aumentare del contenuto di amilosio, l’indice glicemico diminuisce”, spiega. “Da qui, la classificazione delle 25 cultivar (da cultivated variety, ovvero le varietà agrarie coltivate, ndr) di riso Japonica in base alla risposta glicemica bassa, media ed elevata, con conclusioni che aprono la strada a nuovi approcci nutrizionali. Le 2 varietà, Selenio e Argo, che sono rientrate nel range più basso, sono adatte a soggetti sia con diabete conclamato sia con uno stato di glicemia a digiuno alterato, condizione che predispone alla malattia diabetica. La variante Carnaroli Classico, ampiamente diffusa, presenta un indice glicemico medio.” La ricerca è stata pubblicata su Starch.
“Parlare oggi di questa ricerca ci consente anche di parlare di sostenibilità del riso italiano”, afferma Carrà. “Le moderne tecniche agronomiche permettono di coltivare il riso sempre più nel rispetto dell’ambiente. Un paesaggio che proprio in questi giorni si sta trasformando in quello che noi chiamiamo ‘il mare a quadretti’. Ricordo che il sistema di irrigazione delle risaie non porta a uno spreco di acqua ma al contrario la stessa, passando da una camera di risaia all’altra, viene riutilizzata 2,5 volte circa prima di giungere ai fiumi. Le risaie sono come una grossa spugna che rilascia lentamente a valle l’acqua. Infine, aspetto non da poco, Carnaroli Classico e Selenio sono varietà oggi ampiamente coltivate.”
IL CHICCO DI RISO
Un secondo studio ha analizzato i caratteri morfologici dei granuli di amido presenti nella struttura interna dei chicchi di diverse varietà di riso italiane ed estere, al fine di valutarne la relazione con le proprietà organolettiche nelle preparazioni alimentari e stabilire un’eventuale correlazione fra la conformazione della struttura interna e l’indice glicemico. “Il nostro contributo ha permesso di capire che la struttura interna del granello di ogni varietà di riso è specifica e legata a fattori genetici ereditabili”, dichiara Francesco Savorani, del Politecnico di Torino. “Le analisi al microscopio hanno evidenziato che la disposizione dei granuli di amido nonché le loro caratteristiche morfologiche – cioè forma, dimensione e compattezza – possono creare o meno degli spazi vuoti nel chicco e che il rapporto tra questi e il volume occupato è differente tra una varietà e l’altra. Ed è proprio questo rapporto, chiamato porosità percentuale, a determinare la propensione del riso, durante la cottura, ad assorbire l’acqua e i condimenti e a rendere la preparazione finale un alimento nutriente, completo e gustoso.”
I ricercatori hanno inoltre evidenziato che la porosità percentuale è differente tra varietà italiane e straniere. Queste ultime, così come quelle di nuova costituzione, hanno prevalentemente una struttura compatta, mentre le varietà nostrane sono in genere più porose: “Gli straordinari risultati che abbiamo ottenuto non sono il punto di arrivo, bensì il punto di partenza della ricerca genetica dell’Ente Nazionale Risi”, dichiara il dott. Filip Haxhari, breeder di Ente Nazionale Risi. “Questi 2 studi fanno parte di un progetto più ambizioso che l’Ente sta sviluppando da alcuni anni nell’ambito della ricerca genetica e ci hanno permesso di fare un salto in avanti nel complesso lavoro di selezione genetica, il cui obiettivo è la creazione di varietà di riso adatte ad una risicoltura sostenibile e capaci di soddisfare le esigenze di coltivatori e industria”, afferma. “In questo modo possiamo offrire ai consumatori un alimento sostenibile, gustoso e molto sano. Il nostro riso è un prodotto d’eccellenza, unico e identitario, grazie alla straordinaria qualità del granello. Ora – conclude – l’obiettivo è di ottenere il granello perfetto.”