Per arrivare a diagnosticare il tumore della prostata in caso di PSA alterato, la tecnica “fusion biopsy” consente all’urologo di essere molto più preciso in quanto guidato durante la biopsia da un’immagine in 3D attraverso la quale delineare il tragitto che l’ago deve compiere per arrivare alla lesione sospetta. L’immagine “guida” viene creata partendo dai dati della risonanza magnetica, eseguita in precedenza, che vengono sovrapposti in tempo reale alle immagini ecografiche. Presente in moltissimi altri centri italiani, da qualche giorno questa tecnica viene praticata anche all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, grazie alla generosità dell’Associazione oncologica bergamasca (AOB), dei volontari e dei suoi numerosi sostenitori.
“Poter unire le immagini della risonanza con quelle dell’ecografo ci consentirà di eseguire biopsie mirate sulle lesioni veramente sospette e di diagnosticare pertanto le neoplasie prostatiche clinicamente significative”, spiega Luigi Da Pozzo, direttore dell’Unità di Urologia del Papa Giovanni XXIII. “Si stima infatti che alla biopsia prostatica, eseguita con la tecnica tradizionale con prelievi multipli, sfuggano fino al 25% dei tumori clinicamente significativi. Al contrario, l’aumento del numero di prelievi effettuati comporta la diagnosi di un maggior numero di tumori piccoli e di scarso significato clinico.”
La fusion biopsy si è affermata grazie ai progressi fatti dalla risonanza magnetica nucleare negli ultimi anni, che ha dimostrato enormi potenzialità nella diagnosi del tumore della prostata. “L’utilizzo di magneti più potenti e la migliore risoluzione delle immagini hanno contribuito a rendere la risonanza magnetica la metodica migliore per la diagnosi del tumore prostatico, perché consente di individuare le lesioni con caratteristiche di maggior aggressività”, spiega Sandro Sironi, direttore della Radiologia del Papa Giovanni XXIII e docente dell’Università di Milano Bicocca. “La disponibilità al Papa Giovanni di un’attrezzatura a 3 tesla, cioè con intensità di campo magnetico molto elevate, ci consente di eseguire indagini particolarmente raffinate, che fanno parte di un importante protocollo di ricerca clinica già in corso, finalizzato alla diagnosi precoce della neoplasia prostatica che in collaborazione con l’Urologia.”
La fusion biopsy verrà utilizzata anche nel follow-up dei pazienti in “sorveglianza attiva”, ossia nei pazienti cui è stata diagnosticata una neoplasia prostatica a basso rischio di evoluzione, e sottoposti solo a controlli periodici. “La biopsia di fusione, aumentando l’accuratezza nel diagnosticare tumori più aggressivi, garantisce anche una miglior valutazione dei pazienti in sorveglianza attiva”, spiega Marco Roscigno, urologo del Papa Giovanni XXIII, team leader della Prostate Unit del Papa Giovanni XXIII e membro del gruppo di lavoro che ha steso le linee guida nazionali sulla biopsia prostatica. “Il protocollo internazionale di riferimento a cui aderiamo prevede infatti biopsie prostatiche periodiche, per valutare la stabilità della malattia e indirizzare il paziente verso il trattamento più appropriato.”
“Con la donazione di questa apparecchiatura – sottolinea Nunzio Pezzotta, Presidente dell’Associazione Oncologica Bergamasca Onlus – si completa il nostro Programma attività 2016 che ha visto A.O.B. affiancare l’Ospedale di Bergamo con una complessa serie di iniziative con un impegno economico di oltre 400.000 Euro ai quali si aggiungono 180.000 € a disposizione del Ce.R.Mel Centro di Ricerca e cura del Melanoma.