
140 anni fa, il 24 febbraio 1879, nasceva a Udine il dott. Gaetano Perusini, il medico italiano che assieme a Alois Alzheimer scoprì la malattia neurodegenerativa che, all’inizio, prese il nome di patologia di Alzheimer-Perusini. Il medico italiano, oggi ingiustamente dimenticato, e il suo collega tedesco compirono i primi studi sulla malattia nei manicomi dove venivano rinchiusi i pazienti affetti da questa patologia allora non compresa. I due dottori avevano infatti compreso che non si trattasse di casi di pazzia e in seguito alle osservazioni, condotte prima sui pazienti in vita e successivamente anche attraverso autopsie nei cimiteri dei manicomi, individuarono le prime caratteristiche della patologia evidenti nel cervello. Perusini identificò, ben 80 anni prima che venisse documentata scientificamente, la sostanza responsabile della malattia, costituente le placche, oggi nota come proteina amiloide. Perusini la descriveva come “un prodotto metabolico patologico di origine sconosciuta” che si comportava come “una specie di cemento che incolla le fibrille insieme”, anticipando, grazie al proprio intuito scientifico, le moderne considerazioni sulle cause patogenetiche della malattia.
La collaborazione tra Alzheimer e Perusini iniziò nel 1906, quando il medico tedesco chiese a Perusini di osservare per una valutazione più approfondita una paziente, Augusta D., che diventerà il primo caso scientifico documentato clinicamente della malattia. Alzheimer era convinto di essere di fronte a una patologia cerebrale rara, ma le sue osservazioni presentate in un convegno medico furono completamente ignorate; si rivolse quindi a Perusini per una valutazione più dettagliata sia degli aspetti clinici sia dei reperti istopatologici. Perusini, oltre a riesaminare tutti gli aspetti del caso di Augusta D., raccolse altri tre casi di severa e rapida demenza, rispettivamente di 47, 63 e 67 anni, dei quali descrisse e correlò accuratamente i reperti clinico-neuro-patologici, confermando l’identificazione della nuova malattia.
La malattia di Alzheimer-Perusini, oggi semplicemente Alzheimer, si sta diffondendo in modo preoccupante in tutto il mondo, principalmente a causa dell’invecchiamento della popolazione; si stima che dagli attuali 40milioni di pazienti si arriverà, nel 2050, a oltre 130milioni di casi. L’Italia, avendo una delle popolazioni più anziane del mondo con 1,2 milioni di dementi, è particolarmente a rischio. La medicina non ha ancora trovato una cura e le case farmaceutiche stanno abbandonando la ricerca di possibili farmaci, considerati gli scarsissimi risultati finora raggiunti con medicine che, oltre a poter solo attenuare i sintomi per qualche mese, sono molto costose e spesso presentano pesanti effetti collaterali. L’unica possibilità di difesa che si profila allo stato attuale della scienza medica è la prevenzione, che riguarda dunque tutte le persone sane per evitare che si ammalino, attraverso la diagnosi precoce e la stimolazione cognitiva. In questo contesto, lo studio Train the Brain, sperimentato dal prof. Lamberto Maffei all’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha dato risultati positivi clinicamente documentati nell’80% dei soggetti trattati; è stata inoltre costituita la Fondazione IGEA Onlus perché il protocollo possa essere reso disponibile a tutti coloro che possono averne bisogno.