Dopo i cinquant’anni, ne soffre il 20-30% della popolazione, con un’incidenza quasi doppia negli individui di sesso femminile. Si tratta della sindrome dell’occhio secco, malattia oculare cronica spesso sottovalutata, e a volte misconosciuta, non solo da parte dei pazienti ma anche dei medici di medicina generale, dei farmacisti e degli oftalmologi. “La malattia dell’occhio secco può essere difficile da diagnosticare perché i sintomi variano e spesso si sovrappongono con altri disturbi oculari. Per questa ragione, anche lo specialista può essere portato a sottostimarne la severità e, se non tempestivamente individuata e correttamente trattata, la patologia può avere ripercussioni significative sulla vita delle persone”, spiega il prof. Pasquale Aragona, Direttore della Clinica Oculistica e del Centro di Riferimento Regionale per le malattie della superficie oculare del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Messina. “Stiamo parlando di una patologia cronica per la quale ancora non esiste una cura definitiva e, di conseguenza, la diagnosi precoce e una gestione appropriata del paziente sono importanti per diminuire il discomfort e migliorare la qualità della vista e della vita di chi ne è affetto.”
Gli esperti hanno steso un percorso ideale da seguire, dal primo approccio al paziente fino all’individuazione della terapia più appropriata. Un attento ascolto dei sintomi riferiti dal paziente è senza dubbio il primo step per un approccio globale alla sindrome dell’occhio secco. Al fine di quantificare l’entità di tali sintomi e valutare in seguito l’efficacia della terapia su di essi, è utile servirsi di appositi questionari di autovalutazione che il paziente può facilmente compilare. Oltre a questo, va effettuata un’accurata anamnesi che indaghi sull’andamento e sulla variabilità dei sintomi, su fattori scatenanti quali condizioni ambientali sfavorevoli, presenza di patologie autoimmuni (dermatologiche o sistemiche), alterazioni ormonali, assunzione di particolari farmaci, interventi chirurgici oculari pregressi, solo per citare alcuni esempi.
“La multifattorialità della malattia richiede attenzione da parte dello specialista che deve valutare, in tempi rapidi, numerosi elementi ed effettuare alcuni test, indispensabili per definire il quadro clinico”, spiega Maurizio Rolando, Direttore del Centro superficie oculare, IsPre Oftalmica, Genova. “Dal confronto di esperienze nato in seno al tavolo di lavoro è emersa, in generale, una buona conoscenza teorica della patologia, ma anche la forte mancanza di un comune ‘standard di azione’ proprio in queste prassi diagnostiche e nell’approccio di gestione del paziente. Da qui l’opportunità di un primo documento che indirizzi gli specialisti verso un trattamento più adeguato della patologia.”
Le raccomandazioni degli esperti, quindi, identificano i punti fondamentali per il riconoscimento della patologia accompagnando l’oftalmologo dal primo approccio al paziente fino alla definizione delle opzioni terapeutiche più opportune. Senza dimenticare, naturalmente, l’attenzione per la fase di follow-up, ovvero l’importanza di monitorare costantemente la risposta del paziente e di adattare il trattamento al quadro clinico, sempre in possibile evoluzione. Numerosi sono anche consigli e spunti utili per aiutare il paziente a eliminare i fattori di rischio ambientali e migliorare il proprio stile di vita: l’adozione di un’alimentazione sana e equilibrata, ricca di omega 3 e antiossidanti contenuti nel pesce, nella frutta e verdure fresche, l’importanza di un’idratazione costante e di una corretta attenzione al microclima dell’ambiente in cui il paziente abitualmente soggiorna, con particolare riferimento ai luoghi di lavoro.