
“Le scoperte degli ultimi 20 anni dimostrano come lo studio del sonno e del ritmo circadiano abbia un ruolo centrale nella comprensione dei meccanismi per la prevenzione delle patologie cardiovascolari ed internistiche, del declino cognitivo, della malattia di Alzheimer, della malattia di Parkinson, e di altre patologie neurodegenerative”, dichiara il prof. Giuseppe Plazzi, responsabile Centro del Sonno, IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna, intervenendo al LII Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia SIN, recentemente svoltosi a Milano. “Numerosi studi scientifici hanno indagato il sonno notturno nei pazienti a rischio di sviluppare patologie neurodegenerative, ed in particolare la malattia di Alzheimer, o che presentino una disfunzione cognitiva soggettiva o lieve nell’ottica di prevenzione della demenza. Il trattamento dell’insonnia diviene così uno degli obiettivi per la prevenzione della disfunzione cognitiva e della malattia di Alzheimer”, prosegue. “Data l’importanza di indagare la qualità del sonno notturno e le sue caratteristiche, la presenza di disturbi del sonno deve condurci ad impostare trattamenti farmacologici e non farmacologici rivolti ad assicurare un sonno notturno di buona qualità e quantità; di recente approvazione Aifa, la prima terapia che agisce su uno dei sistemi della veglia bloccando i recettori dell’orexina. Uno studio dell’International REM Sleep Behaviour Disorder (RBD) Study Group – gruppo di studio internazionale nato nel 2010 con lo scopo di promuovere la ricerca e la divulgazione scientifica di questo disturbo – condotto dal prof. Dario Arnaldi, dell’Università di Genova, ha dimostrato che alterazioni nel funzionamento di specifiche aree cerebrali visibili alla SPECT (un esame di neuroimmagini), in combinazione con costipazione, deficit cognitivo ed età, indica un altissimo rischio di sviluppare una alfa-sinucleinopatia a distanza di 2 anni dalla diagnosi di RBD. In altre parole – continua Plazzi – questo studio dimostra che si può stimare con precisione se un paziente con RBD è ad alto rischio di sviluppare Parkinson o altre alfa-sinucleinopatie, nei 2 anni successivi alla diagnosi di RBD, un’informazione estremamente utile per il disegno di nuovi studi farmacologici. A disposizione per nuovi studi, anche il database italiano FaRPreSto, Fattori di Rischio Predittivi, che già contiene 564 casi di RBD raccolti in 13 Centri italiani.”