Ictus. Stimolazione non invasiva del cervello per accelerare recupero funzione motoria. Studio sperimentale

Ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Roma – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, insieme ai colleghi dell’IRCCS San Raffaele, hanno scoperto la possibilità di favorire il recupero dell’arto paralizzato a seguito di un ictus e potenzialmente ridurre la disabilità associata all’evento cerebrovascolare, applicando una piccola corrente indolore mediante un dispositivo non invasivo, semplicemente applicato sul capo, ma in grado di raggiungere attraverso il cranio le strutture cerebrali sottostanti e di modificarne l’eccitabilità.

Lo studio, su modelli animali di ictus ischemico, si deve a una collaborazione tra il gruppo del prof. Claudio Grassi, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica Campus di Roma, e quello del prof. Paolo M. Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Scienze della Riabilitazione dell’IRCCS San Raffaele. Lo studio, pubblicato su Stroke, apre alla possibilità di iniziare le sperimentazioni su pazienti reduci da ictus. La ricerca è stata realizzata anche grazie al prezioso contributo di giovani ricercatrici e ricercatori, in particolare le 2 prime autrici, dott.ssa Saviana Barbati e dott.ssa Valentina Longo, e i bioingegneri Fabrizio Vecchio e Francesca Miraglia. Lo studio è stato supportato da finanziamenti da parte della Fondazione Roma e della Fondazione Baroni.

“Il lavoro mette in luce, in un modello sperimentale animale, l’efficacia di una stimolazione non invasiva del cervello, denominata stimolazione transcranica a corrente diretta, nell’accelerare il recupero della funzione motoria a seguito di un ictus ischemico”, spiega Grassi. “Lo studio evidenzia le basi molecolari di tale recupero e gli effetti indotti dalla stimolazione sulla connettività cerebrale.”

“L’ictus – spiega Rossini – è una lesione acuta del cervello legata a un problema vascolare o di tipo ischemico o emorragico; rappresenta ancora oggi la prima causa di disabilità permanente in tutti i Paesi più avanzati in cui l’età media della popolazione si è allungata. L’ictus ischemico, che rappresenta l’80% di tutti gli ictus, si verifica quando un’arteria che irrora l’encefalo viene improvvisamente ostruita portando quindi, nel corso dei minuti/ore successivi, alla morte delle cellule nervose da essa nutrite. In Italia l’ictus è la terza causa di morte, dopo le malattie oncologiche e quelle cardio-vascolari; è responsabile del 9-10% di tutti i decessi e rappresenta la prima causa di invalidità. Ogni anno si registrano nel nostro Paese circa 200mila ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, di cui il 20% sono recidive. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente; il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità e, di questi, la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza per il resto della propria vita. L’ictus è più frequente dopo i 55 anni; la sua prevalenza raddoppia successivamente ad ogni decade; il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (7,4% negli uomini; 5,9% nelle donne). I sintomi prevalenti di un ictus sono una perdita di controllo del movimento in una metà del corpo (emiparesi/emiplegia), un disturbo del linguaggio (afasia), un deficit dell’equilibrio, un disturbo della visione (emianopsia). Nelle 8 settimane successive ad un ictus – prosegue Rossini – si possono avere processi di recupero della funzione anche molto significativi. Tuttavia, dopo questo periodo, il recupero ulteriore è minimo e il paziente (con i suoi familiari) dovrà adattarsi ad una vita con limitazioni motorie/fisiche talvolta anche molto significative. Negli ultimi anni, numerosi studi sperimentali hanno dimostrato che affiancando alle procedure di riabilitazione neuromotoria standard stimolazioni elettriche o magnetiche delle aree cerebrali interessate dall’ictus si ottengono risultati migliori ed in tempi più rapidi. Di qui l’idea di studiare i meccanismi alla base di questo potenziamento della riabilitazione offerto dalla stimolazione non invasiva del cervello, come appunto quella a corrente diretta esaminata in questo lavoro.

“La stimolazione transcranica a corrente diretta è una tecnica di stimolazione non invasiva ampiamente utilizzata nella ricerca clinica con risultati promettenti nell’ambito della riabilitazione motoria e cognitiva”, spiega la prof.ssa Maria Vittoria Podda, del Dipartimento di Neuroscienze dell’UCSC di Roma e corresponding author del paper. “Tuttavia i meccanismi alla base della sua efficacia non sono ancora ben noti e la ricerca pre-clinica può offrire un importante contributo in questo ambito.”

Lo studio ha permesso di osservare che intervenendo nella fase sub-acuta, cioè 3 giorni dopo l’evento ischemico, con un trattamento che consiste in sessioni singole di stimolazione della durata di 20 minuti per 3 giorni consecutivi, si ottengono evidenze tangibili di “riparazione” del danno ischemico nel cervello di topolini. “Il lavoro è stato svolto su un modello sperimentale (murino) di ictus ischemico della corteccia motoria che è quella che controlla la muscolatura della metà opposta del corpo”, spiega Podda. “Nel tessuto vicino alla lesione abbiamo osservato (solo negli animali sottoposti a stimolazione ‘vera’, ma non in quelli sottoposti a stimolazione ‘placebo’) diverse modifiche sia a livello strutturale, sia molecolare.” Tali modifiche si correlano anche con un recupero migliore e più rapido dei soggetti stimolati rispetto a quelli con stimolazione ‘placebo’. I segni molecolari di ripresa indotti dalla stimolazione sono la produzione di molecole importanti per il cervello come fattori di crescita: “In particolare, abbiamo visto un aumento dei livelli della neurotrofina BDNF”, prosegue. “Nei neuroni della corteccia motoria nella zona prossima alla lesione, inoltre, osserviamo un aumento del numero delle spine dendritiche, strutture essenziali per la comunicazione tra neuroni. Questo potrebbe essere alla base dell’aumentata connettività neurale misurata nello studio, mediante registrazioni simili all’elettroencefalogramma.”

I PROSSIMI PASSI

“Per quanto riguarda lo studio pre-clinico, sono in corso ulteriori ricerche per individuare biomarcatori molecolari e neurofisiologici (molecole e aspetti funzionali del cervello) che possano essere utilizzati come indicatori per predire l’efficacia del trattamento e il grado del recupero funzionale”, anticipa Podda. “I risultati di queste ricerche aprono la strada a nuove strategie terapeutiche molto promettenti che si basano sull’uso combinato di stimolazione transcranica, protocolli standard di riabilitazione ed altri trattamenti innovativi, attualmente oggetto di studio nei nostri laboratori, quali la somministrazione di fattori neurotrofici ottenuti dalle cellule staminali”, aggiungono Grassi e Rossini. “Grazie a un’azione sinergica operata su target molecolari comuni, la combinazione di questi stimoli potrebbe potenziare notevolmente le capacità di recupero dei pazienti.”

Già in corso studi sperimentali su pazienti colpiti da ictus ischemico con metodiche di stimolazione a corrente diretta e magnetica transcranica; i risultati saranno noti nei prossimi 2 anni. Infine, conclude Rossini, viste la semplicità e la sicurezza di utilizzo delle apparecchiature impiegate, si stanno valutando le condizioni anche per un loro uso domestico, al fine di potenziare ulteriormente le capacità di riorganizzazione neurale attorno alla lesione e quindi di recupero funzionale nelle attività del vivere quotidiano.