La diminuzione dell’udito aumenta rischio demenza

Tra udito e cervello esiste un intreccio invisibile e molto stretto, che alimenta un circolo vizioso a due direzioni: così, un calo dell’udito è associato a un aumento di oltre 3 volte della probabilità di sviluppare una forma di demenza, mentre in 3 pazienti con un deficit cognitivo su 4 si registra anche un disturbo dell’udito. È quanto emerge dal Rapporto “Il Cervello in Ascolto. Lo Stretto Intreccio tra Udito e Abilità Cognitive”, promosso da Amplifon, che analizza il legame tra due vere emergenze sociali: 360 milioni di persone nel mondo convivono oggi con un calo dell’udito e 47 milioni con una forma di demenza, numeri impressionanti destinati a raddoppiare (720 milioni con un disturbo uditivo) e quasi a triplicare (131 milioni con demenza) nei prossimi 30 anni, entro il 2050, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.

Le origini del “bug” che fa scattare il circolo vizioso non sono chiare, ma è certa la sua natura bidirezionale: da un lato una perdita di udito comporta una riduzione del volume della corteccia cerebrale e delle diramazioni neuronali, oltre a un “affaticamento” generale del cervello, dall’altro un peggioramento cognitivo facilita la comparsa di un disturbo nella percezione e nella comprensione verbale. Gli esperti sottolineano l’urgenza di intervenire tempestivamente: gli studi più recenti dimostrano infatti come la giusta soluzione acustica possa rallentare il declino cognitivo e migliorare le performance generali.

Non sentiamo solo con le orecchie, ma anche – e soprattutto – con il cervello. In pratica, il suono di una parola non attiva soltanto la corteccia uditiva, dove la parola viene “sentita”, ma accende numerose aree e reti del cervello dove viene “compresa” o collegata da un punto di vista semantico e cognitivo. Così, è dimostrato come gli elementi cognitivi – come la memoria a breve termine, l’elaborazione centrale e le esperienze di vita – siano cruciali per capire un discorso in un luogo rumoroso, più delle stesse capacità uditive, che influiscono solo per il 10%. “Tra udito e cervello sembra esserci – commenta Andrea Peracino, presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini di Milano – un legame ‘a due corsie’: da un lato i processi cognitivi incidono sul modo in cui le persone sentono; dall’altro gli stimoli sonori attivano la corteccia cerebrale a tutto campo. Si tratta di un vero e proprio intreccio, che si manifesta anche quando si riscontra un deficit: un calo uditivo può infatti ridurre il volume della corteccia cerebrale, determinando cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello; mentre il declino cognitivo può peggiorare le capacità di ascolto e di comprensione delle parole, favorendo la comparsa dell’ipoacusia. Vanno poi considerati altri fattori, come lo stress e l’affaticamento generale, che possono aggravare ulteriormente gli effetti del calo dell’udito e del declino cognitivo. Tutto questo condiziona le nostre capacità cognitive nell’arco di tutta la vita.”

Gli studiosi si interrogano sui fattori che possono attivare il circolo vizioso tra calo di udito e declino cognitivo. È certo, ad esempio, che l’ipoacusia determini cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello: ciò, secondo alcune teorie, potrebbe determinare una sotto-stimolazione delle aree normalmente attivate dai suoni, favorendo così un impoverimento cognitivo; un’altra ipotesi sottolinea, invece, l’affaticamento del cervello che, per compensare la perdita di udito, utilizzerebbe reti neuronali accessorie, riducendo così le risorse cognitive disponibili per svolgere tutte le altre funzioni. Altri studi puntano il dito contro l’isolamento sociale: infatti, le difficoltà comunicative connesse a un deficit uditivo possono favorire la solitudine delle persone, un fattore di rischio riconosciuto per la comparsa di disturbi cognitivi. Infine, si ipotizza che una stessa malattia microvascolare possa essere comune a ipoacusia e ad alcune forme di demenza, favorendo l’insorgenza di entrambi i disturbi.

Che cosa succede nel cervello quando l’udito cala? Gli esperti si soffermano sui cambiamenti strutturali e funzionali che possono manifestarsi. “Il deficit uditivo determina una deafferentazione sensoriale della corteccia cerebrale uditiva – spiega Camillo Marra docente di Neurologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – e questo determina una riduzione del volume di queste zone corticali e una diminuzione del numero delle diramazioni che sono necessarie per la comunicazione tra cellule nervose e per il normale svolgimento delle funzioni di ascolto e comprensione. A conferma di ciò, recenti studi di neuro-imaging hanno svelato come le persone con un calo dell’udito presentino una riduzione nello spessore dei fasci di sostanza bianca nella zona uditiva, cioè di quei fasci nervosi che presiedono al collegamento e all’interazione delle cellule nervose tra loro. Queste alterazioni uditive e del sistema nervoso centrale richiedono l’attivazione di molti meccanismi compensatori cerebrali, che impattano pesantemente sull’impegno cognitivo necessario all’ascolto, affaticando il cervello e rendendolo meno efficiente per lo svolgimento delle altre funzioni cerebrali. Si stima così che il deficit uditivo possa ridurre, anche di oltre il 30%, l’efficienza di altre abilità cognitive, aumentando il rischio di una precoce compromissione di funzioni come l’attenzione, la memoria e le capacità strategico-esecutive.”