Se l’epilessia è una malattia che presenta ancora molti problemi dal punto di vista diagnostico e sociale, quando si tratta di donne, le difficoltà possono aumentare. Tra le più diffuse al mondo, la malattia neurologica colpisce 500.000 persone con 30.000 casi nuovi l’anno e in egual misura uomini e donne. Tra gli elementi tipicamente “femminili” da considerare, ci sono il rapporto tra ormoni e insorgenza delle crisi, la scelta dei farmaci antiepilettici e la loro interazione con la terapia contraccettiva, gli effetti dei farmaci antiepilettici sui metabolismi e sugli ormoni sessuali, l’ influenza dell’epilessia sulla sessualità e sulla fecondità, la gravidanza, la menopausa e il metabolismo osseo. Se ne è discusso nell’ambito del workshop “Epilessia e Donna” diretto dal prof. Luigi Maria Specchio, coordinatore del gruppo di studio sull’epilessia nella donna, nel corso del 39° Congresso Nazionale della Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE) appena concluso a Roma. Il tema della gravidanza, in particolar modo in riferimento agli effetti delle terapie sulla salute fetale, è stato affrontato dalla dott.ssa Dina Battino, coordinatrice del registro internazionale EURAP (Prospective Observational Study of Pregnancies with Antiepileptic Drugs) che raccoglie oltre 20.000 gravidanze da molte parti del mondo. I dati presentati confermano che la maggioranza delle donne con epilessia avrà figli sani.
Tuttavia, è molto importante che la gravidanza sia programmata in modo da ridurre, quando possibile, il carico farmacologico salvaguardando nella maniera più assoluta la protezione dalle crisi, in particolare da quelle convulsive. Nel corso dell’incontro è stata inoltre sottolineata l’elevata pericolosità della sospensione dei farmaci antiepilettici nell’arco di una gravidanza in atto, evento che non di rado viene attuato per paura o per errato consiglio quando la donna sa di essere incinta. Il tema delle possibili malformazioni è cruciale in questa situazione ed i messaggi dal mondo medico non sono sempre aggiornati e si basano su vecchie credenze. Il tasso di malformazioni in figli di donna affette da epilessia in trattamento farmacologico è superiore al tasso della popolazione, calcolato nell’ordine del 2-3%, con un rischio generale del 4-6%.
I dati attuali, indicano che due farmaci antiepilettici, il fenobarbital e in modo particolare l’acido valproico, hanno un rischio maggiore rispetto agli altri raggiungendo valori intorno al 10%. Tuttavia la riduzione delle dosi giornaliere di farmaco assunto ha dimostrato di ridurre il tasso di rischio, riportandolo a valori simili a quello degli altri farmaci antiepilettici somministrati a dosi medie o elevate. La scelta dei farmaci antiepilettici nella donna rende necessarie alcune considerazioni specifiche. “Alcuni farmaci – ha dichiarato la dott.ssa Barbara Mostacci dell’Ambulatorio Epilessia e Gravidanza dell’Ospedale Bellaria di Bologna – subiscono alterazioni anche considerevoli del loro metabolismo nel corso della gravidanza. La gestione della terapia deve quindi prevedere, in questa particolare condizione, una maggiore attenzione, comprendente dosaggi plasmatici e rivalutazioni della posologia più frequenti e calibrate sul singolo caso. Inoltre, alcuni farmaci antiepilettici interagiscono con terapie utilizzate esclusivamente nelle donne, cioè farmaci contenenti derivati estrogenici e/o progestinici. Alcuni farmaci possono quindi ridurre l’efficacia della contraccezione ormonale. Viceversa, alcuni preparati utilizzati per la contraccezione o la terapia ‘sostitutiva’ post-menopausale possono ridurre la concentrazione di alcuni farmaci antiepilettici e questo può essere rilevante, come è il caso della lamotrigina”.
L’assunzione in gravidanza di acido valproico, un farmaco molto diffuso nella terapia dell’epilessia, già da tempo è stata messa in correlazione con alterazioni dello sviluppo cognitivo, del comportamento e perfino con disturbi dello spettro autistico. Ciò ha indotto, di recente, le autorità regolatorie a rivedere l’utilizzo dell’acido valproico nelle donne in età fertile, limitandolo alle situazioni cliniche ove sia ritenuto insostituibile. Quindi, il valproato non deve essere utilizzato, come primo farmaco, nelle bambine, adolescenti, donne in età fertile o in gravidanza, a meno che altri trattamenti abbiano dimostrato di essere inefficaci o non tollerati. “Oltre ai fattori biologici – ha dichiarato il prof. Luigi Maria Specchio – nel caso delle donne, accresce anche lo stigma sociale. Da secoli, il pregiudizio accompagna chi soffre di epilessia. In un passato non lontano, si giungeva ad impedire la procreazione e di conseguenza si escludevano le donne dal matrimonio, basandosi sull’idea di ereditarietà dell’epilessia e sulla difficoltà o impossibilità alla gestione ed alla educazione dei figli a causa delle crisi. La vita sociale, in tutte le sue espressioni, dalla frequenza della scuola, al lavoro, ai rapporti interpersonali, era ed è ancora caratterizzata da isolamento. Pensiamo al mondo del lavoro: l’atteggiamento nei confronti di una donna in cerca di occupazione è ‘istintivamente’ caratterizzato dal timore che non sia all’altezza o che, comunque, abbia delle difficoltà psico-attitudinali maggiori rispetto ad un uomo con epilessia.”
L’epilessia è una malattia neurologica che si manifesta sotto forma di disturbi improvvisi e transitori, le cosiddette crisi, che dipendono sostanzialmente da un’alterazione della funzionalità dei neuroni. Esistono crisi di entità e gravità differenti anche se la forma più conosciuta di crisi è quella cosiddetta “convulsiva”, in cui si ha la caduta a terra e la perdita totale della coscienza. Altri tipi di crisi sono meno eclatanti ma anche più numerosi e possono anche passare inosservati. Le cause dell’epilessia sono molteplici, dai fattori genetici alle lesioni vere e proprie del cervello (esiti di traumi, tumori, ictus, etc).