Se i risultati dello studio pubblicato poco più di un mese addietro dovessero essere confermati anche su larga scala, lecanemab sarebbe il primo farmaco contro l’Alzheimer a mostrare un segnale di beneficio cognitivo in uno studio corposo. Infatti, secondo i dati di questo studio, il farmaco ha rallentato del 27% il tasso di declino cognitivo in alcuni pazienti. “È una grossa vittoria per il nostro settore”, afferma Liana Apostolova, neurologa presso l’Indiana University School of Medicine di Indianapolis. “I risultati sono abbastanza promettenti”, afferma Caleb Alexander, specialista in Medicina Interna ed Epidemiologo presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, nel Maryland, e membro del comitato consultivo della Food and Drug Administration statunitense. “Ma dovremo vedere cosa suggerisce l’analisi completa del processo”, aggiunge. Alexander e altri notano anche che, sebbene i risultati indichino che il lecanemab fornisca alcuni benefici clinici, il risultato “non è esaltante”. “Non credo che uno studio dimostrerà un’ipotesi controversa di lunga data”, afferma Brent Forester, direttore del Programma di Ricerca sulla Psichiatria Geriatrica presso il McLean Hospital di Belmont, nel Massachusetts, che ha contribuito a condurre la sperimentazione clinica. “Ma uno studio positivo supporta l’ipotesi.” L’amiloide è associata al problema, ma non è il problema, spiega George Perry, neurobiologo dell’Università del Texas a San Antonio, e scettico sull’ipotesi dell’amiloide. “Se lo modifichi, ovviamente puoi avere qualche piccolo vantaggio.”
“Questi sono i risultati più incoraggianti negli studi clinici che trattano le cause alla base dell’Alzheimer fino ad oggi”, dichiara l’Alzheimer’s Association, organizzazione finanziatrice della ricerca e di difesa dei pazienti, in una nota. Lo studio di fase III Clarity AD di lecanemab si è svolto ininterrottamente per 18 mesi e ha rallentato il declino in misura statisticamente significativa. I risultati principali rilasciati da Eisai e Biogen descrivono i risultati di quasi 1.800 persone con malattia di Alzheimer allo stadio iniziale che vivono in più di una dozzina di Paesi. I partecipanti hanno ricevuto infusioni endovenose di lecanemab o un placebo ogni 2 settimane per la durata dello studio. La loro cognizione è stata valutata utilizzando una scala a 18 punti, chiamata CDR–SB (clinical dementia rating sum of boxes); i medici calcolano il punteggio di un paziente intervistando il soggetto stesso e i suoi assistenti e testando le capacità della persona in aree quali la memoria e la capacità di risolvere problemi. Non solo il lecanemab ha diminuito l’amiloide nel cervello delle persone, ma coloro che hanno ricevuto il trattamento hanno ottenuto in media 0,45 punti migliori sul CDR-SB rispetto a quelli del gruppo placebo a 18 mesi. “È una differenza davvero minuscola e quasi impercettibile rispetto al placebo”, commenta Rob Howard, psichiatra dello University College London. Sebbene Howard e altri differiscano su quale sarebbe un risultato clinicamente importante, viene indicato un intervallo compreso tra 0,5 e 2 punti.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, il 20% dei partecipanti che hanno ricevuto lecanemab ha mostrato anomalie nelle scansioni cerebrali che indicavano gonfiore o sanguinamento, sebbene meno del 3% dei soggetti appartenenti al gruppo di trattamento abbia manifestato sintomi per questi effetti collaterali.
fonte: dottnet