
Scatena gli autoanticorpi che prendono di mira i tessuti invece degli agenti patogeni esterni, diffondendosi potenzialmente in tutto l’organismo e producendo infiammazione. Può colpire qualsiasi organo o apparato, dalle articolazioni alla cute, dai reni alle membrane che ricoprono cuore e polmoni, fino al sistema nervoso centrale. È il lupus eritematoso sistemico LES, la “malattia dai mille volti”. In Italia ne soffrono circa 40mila persone, 5milioni nel mondo; in 9 casi su 10 si tratta di donne, spesso in età fertile; fra loco, anche la cantante Selena Gomez, che ha realizzato una docu-serie sulla convivenza con la malattia. Negli ultimi anni, il paradigma terapeutico del LES è stato rivoluzionato dall’introduzione di nuovi farmaci capaci di cambiarne la storia clinica. Inoltre, grazie alla diagnosi precoce – in grado di intercettare la malattia prima che vengano causati danni agli organi – e alla prevenzione attiva tra i soggetti più a rischio – come i familiari dei pazienti, che hanno il 10% di probabilità di ammalarsi – la possibilità di ritardare, modulare e tenere sotto controllo il lupus per crescenti periodi di tempo è oggi sempre più concreta.
In occasione della Giornata Mondiale del Lupus, che ricorre il 10 maggio 2025, la Società Italiana di Reumatologia SIR e il Gruppo LES Italiano ODV, “uniscono le voci per sensibilizzare su luci e ombre di una condizione emblematica della complessità dell’intero universo delle malattie reumatologiche”: “Il lupus è una malattia autoimmune con manifestazioni, soprattutto all’esordio, aspecifiche”, spiega il prof. Andrea Doria, presidente SIR. “Questa sua caratteristica può renderlo sfuggente e ostacolarne la diagnosi. Ma la presenza nel sangue degli autoanticorpi responsabili della patologia (in particolare gli anticorpi antinucleo) è la nostra chiave per risolvere il rebus dei suoi tanti sintomi eterogenei. Medici di famiglia o altri Specialisti che vedono pazienti con dolore o infiammazione articolare, febbricola persistente, rash cutanei al volto e al tronco, pleuriti o pericarditi non spiegabili o con alterazioni ematologiche, come carenza di globuli bianchi e piastrine, o con proteine in eccesso nelle urine o ancora con il fenomeno di Raynaud, soprattutto se in persone giovani, potrebbero porre il sospetto della malattia e chiedere il dosaggio degli autoanticorpi specifici. Una volta confermata la diagnosi, il paziente dovrebbe essere preso in carico dal reumatologo e iniziare le terapie. Prima questo avviene – prosegue – maggiori probabilità ci sono di ‘addomesticare’ il lupus affinché non provochi danni irreversibili. Se impiegati precocemente, i farmaci oggi a disposizione, dai nuovi immunosoppressori, più maneggevoli, ai biologici che possono cambiare il decorso della malattia, la remissione è possibile, anche per periodi prolungati. Questo ovviamente non significa guarire dal lupus, ma riuscire quantomeno a tenerne sotto controllo i sintomi, migliorando la qualità di vita dei pazienti.”
“Viviamo un periodo di grande fermento e innovazione nell’ambito di questa malattia”, afferma Rosa Pelissero, presidente del Gruppo LES. “Grazie ai progressi della ricerca, ricevere una diagnosi oggi è tutt’altra storia rispetto a 10 o 20 anni fa. Ma continuiamo a raccogliere testimonianze di una convivenza non facile con la malattia: stanchezza, dolori diffusi, difficoltà a trovare ascolto e comprensione nei vari ambiti relazionali, tra cui il lavoro e la scuola. Tutto porta i pazienti a sperimentare un malessere che non è solo fisico ma anche psicologico. Alcune persone faticano ad accettare la diagnosi e a parlarne. C’è perfino chi chiede se il lupus sia contagioso. Serve insomma ancora molta informazione su questa patologia, guidando i pazienti in un percorso che li accolga e aumenti la loro consapevolezza delle opzioni oggi disponibili. Ad esempio, non tutte le giovani pazienti sanno che la gravidanza, un tempo preclusa, oggi è possibile ma va programmata.”
“Il vero grande scoglio resta quello del ritardo diagnostico e dell’accesso alle cure”, afferma ancora Pelissero. “Possono volerci fino a 20 mesi per avere una diagnosi. E anche dopo averla ricevuta ci possono essere rallentamenti e difficoltà nell’avviare i trattamenti a causa delle lunghe liste d’attesa per visite ed esami specialistici.”
“Occorre senz’altro un impegno maggiore per ridurre le liste d’attesa”, dichiara Doria. “Il nostro Sistema Sanitario riesce ancora a fare diagnosi di lupus più rapidamente rispetto ad altri Paesi e anche gli studi sulla remissione mostrano come l’Italia raggiunga questo risultato molto più frequentemente rispetto, ad esempio, a Stati Uniti e Australia. Uno degli ambiti su cui andrebbero intensificati gli sforzi è quello della prevenzione, di cui si parla ancora troppo poco in Reumatologia, che è di 3 tipi: primaria, secondaria e terziaria. La secondaria si ottiene con la diagnosi precoce, cercando di intervenire tempestivamente per modificare in parte il decorso della malattia; quella terziaria è finalizzata a prevenire le complicanze, come la nefrite lupica, in cui il sistema immunitario attacca i reni, o manifestazioni neurologiche, aterosclerosi, infezioni. Ma il fronte davvero innovativo è quella della prevenzione primaria negli individui più a rischio. Sono i familiari dei pazienti e i soggetti in cui sono stati riscontrati anticorpi antinucleo in assenza di sintomi. Entrambi – continua – pur non avendo alcuna manifestazione di lupus, hanno una maggiore probabilità di sviluppare la malattia. Se questi pazienti vengono monitorati e invitati a adottare alcune strategie preventive come smettere di fumare, avere una sana alimentazione, evitare l’eccessiva esposizione al sole, assumere vitamina D e svolgere regolare attività fisica senza carico, forse non potremo evitare che sviluppino la malattia.”