I malati mentali in Italia sono emarginati insieme alle loro famiglie. Un isolamento imposto dal pregiudizio, che diventa di fatto una prigione. Qui di seguito la lettera aperta della scrittrice Barbara Appiano, a denunciare un “sistema Paese” che non va. “Il mio paese, l’Italia, è un paese che dice di voler occuparsi di tutti ma che dimentica sempre qualcuno per strada. L’Italia è un po’ come una chioccia, che nell’educare i suoi pulcini a camminare lascia indietro quelli che il passo non lo reggono. La chioccia Italia, nel ricordarsi di tutti, ha fatto infatti lasciato in sosta permanente i malati mentali e le loro famiglie.
Chiusi i manicomi che dovevano essere sostituiti dalle ‘case famiglie’ siamo ancora oggi a pensare, quando ci ricordiamo, che cosa dobbiamo fare dei malati mentali e delle loro famiglie. Questo dopo il lontano 1978 che vide l’intrepido psichiatra Basaglia impegnato a far chiudere i manicomi per riabilitare gli ammalati. Questi malati, tra cui mio fratello Mario, sono una popolazione silenziosa che a parte incrementare il mercato degli psicofarmaci, con la chimica che li tiene a bada rallentandone l’entusiasmo per la vita, sono ostaggio dell’indifferenza della società che, ignorandoli, decide comodamente che non esistono, e quando esistono è perché qualcuno da di matto, con notizie che scatena il delirio.
Ci si chiede il perché è successo, un perché che occupa sociologi, criminologi e opinionisti. Forse perché il ‘malato mentale’ è un campionario di umanità che nessuno vuole adottare: troppo impegnativo capire gli altri, meglio l’etichetta della malattia e lavarsene le mani. Leggi, leggine, sussidi da miseria al pari di un accattonaggio legalizzato, hanno lo scopo di ‘rassicurare’ coloro che i ‘malati mentali’ li temono o se ne vergognano. I malati sono tutti uguali senza etichetta, le etichette non te le dà la malattia, ma gli altri, quelli che ti evitano perché la diversità ad ogni latitudine fa paura. I malati mentali in Italia, insieme alle loro famiglie, pure loro malate avendo ereditato per ‘diritto acquisito’ la malattia del pregiudizio, sono a digiuno di politica, non sanno perché vengono classificati malati mentali, ma sanno che è un diritto acquisito dalla nascita dare un senso alla loro esistenza che non è di serie B ma di serie A, come tutti gli altri. Anzi, io aggiungo da tripla A, come la certificazione di un istituto finanziario, visto anche che di questi tempi vanno di moda le classificazioni finanziarie.
Lavori socialmente inutili che li fanno sentire inutili, lavori per categorie protette, da chi non si capisce. Forse da coloro che inventano la protezione dal malato mentale e non per il malato mentale? Una specie di dazio doganale e sociale, purché questa ‘minoranza’ figlia di un Dio minore, stia zitta, con le buone o con le cattive, e resti una minoranza da rendere muta con il silenziatore della vergogna. Una enclave utile politicamente solo per una croce sulla scheda elettorale.
La vergogna è l’attrice non protagonista della processione sempre in itinere del mondo che ambisce alla perfezione (che è un’invenzione umana), e assume la vergogna come portavoce ufficiale del mondo sottosopra, il mondo della miopia della malattia.
Con questo scritto chiedo alle istituzioni, e ai marinai della politica del cambiamento, come scrittrice e come sorella di Mario, mio fratello figlio di un Dio minore perché ‘ripudiato dal Dio maggiore’, di organizzare una giornata nazionale dei malati ‘mentali’ che sono stufi di essere chiamati tali, perché al pari di altri malati non emarginati, non sono il mostro di Lochness. Siamo un paese che come una chioccia distratta si dimentica dei suoi figli più fragili, un paese che deve curare la sua memoria, andando nella palestra del dolore degli altri. Gli altri sono i ‘malati mentali’ che soltanto coraggiosi psichiatri e infermieri muniti di coraggio ed empatia soccorrono quando tutti si girano dall’altra parte, perché il dolore che non si vede non esiste e se mai si vedesse è muto, e non ha diritto di parola.
Ai governanti del cambiamento prima di tutto uomini chiedo: «Il mondo che proponete è a misura della malattia mentale? Chi può dire oggi cosa sia la normalità?». Io dico nessuno, mentre coloro che pensano alla normalità come a una patente di guida senza rinnovo, sono fuori strada, o peggio in contro mano. La normalità è l’altra faccia del coraggio, la normalità è mio fratello che nonostante l’etichetta che si porta dietro e che lui non ha scelto, vive la sua condizione di emarginato come la forma più alta di libertà, ovvero quella di non volere assomigliare a nessuno e di farsi la domanda: “Ma Dio esiste?”.
Mario si dà la risposta da solo, dicendosi che Dio esiste ed è schizofrenico. Mario vede il mondo in versione multicolor quando magari è solo in bianco e nero, parla con il cane e con il gatto che lo seguono dappertutto, due creature che non lo hanno emarginato come coloro che quando lo vedono per strada, cambiano direzione.
A nome di tutti i malati mentali e dei loro psichiatri e infermieri, a nome delle famiglie di questi malati cui io appartengo, chiedo alla politica di adottare la malattia mentale come un diversivo socialmente utile, a voler essere meno banali e più concreti. Più che i muscoli palestrati la politica mostri la capacità di non isolare nessuno dei suoi figli. Non sempre chi urla di più ha ragione e non sempre queste urla sedano l’indifferenza, la quale continua a seminare solitudine senza che nessuno faccia un selfie alla propria coscienza, che si rifiuta di farsi immortalare.
La politica è pregata di prendere nota: la malattia mentale è in totale stato di abbandono e anche i portatori sani dell’insanità mentale che li fa diventare malati, vogliono un posto di lavoro, un modo per partecipare al companatico nazionale, con Jobs Act, somministrazione del lavoro, vouchers, e lavoro in nero… Il lavoro è arcobaleno, il lavoro non è merce ma è persona, ed essere persone significa esistere ancora prima di lavorare. Il lavoro è la rappresentazione di un’idea che ha casa anche nelle menti diversamente abili: abilità e sanità, normalità e perbenismo sono termini dissociativi di un mondo che non ha chiesto di essere normale.
La schizofrenia, la depressione, sono l’ultimo baluardo di un Paese, l’Italia, che a forza di voler diventare multirazziale si dimentica per strada quelli che in Italia sono nati. Sono i vostri vicini di casa, sono coloro che incontrate ai vari centri di salute mentale, perché sotto sotto si scopre che un po’ tutti siamo malati mentali: chi per primo lo vuole confessare?
Avevo un fratello normale, qualcuno decise che normale non era, ma lui tuttora è qui a spiegare che normale si, normale no, alla fine la normalità è una parola licenziata anche dal suo vocabolario, con buona pace dei farmaci che addormentano la coscienza e alimentano l’incoscienza. Io sto con loro, e nel mio libro in stesura ‘Echi nella Nebbia a Ridosso del Cielo’ viaggio a piedi negli incubi degli altri, quando gli altri, erano reclusi negli OPN, gli Ospedali Psichiatrici Nazionali. Scheletri di cemento si ergono nella più totale indifferenza, disturbando la vista magari degli outlet, templi della normalità del consumismo, gli Ospedali Psichiatrici Nazionali sono diventati oggi macerie della vergogna. Scheletri che sono ancora qui a bussare alla nostra porta, per dire che loro vorrebbero diventare dei campi di calcio, una pista da slalom, un anfiteatro, un mondo in divenire che aspettando di mutare pelle per passare il tempo si fa un selfie senza riuscire ad immortalare l’insanità mentale. Un’intrusa, un’ospite sgradita che si auto invita e che per discrezione preferisce starsene dove è sempre stata, ovvero nell’immaginario abusivo del mondo urlante di silicone e finzione.”