Le malattie infiammatorie intestinali croniche, rappresentate essenzialmente dalla malattia di Crohn e dalla colite ulcerosa, sono patologie immuno-mediate con un decorso cronico o ricorrente, che alterna periodi di latenza a fasi di riacutizzazione compromettendo gravemente la qualità di vita. Si calcola colpiscano 2,5-3 milioni di europei, di cui 200.000 in Italia, con un trend in continua crescita e un esordio in età giovanile, fra i 15 e i 30 anni. La terapia farmacologica ha l’obiettivo di indurre la remissione, evitando la ricomparsa dei sintomi e la progressione della malattia verso complicanze che richiedono il ricorso alla chirurgia. Nonostante gli indubbi benefici sui pazienti, i medicinali biotech anti-TNF oggi vengono somministrati a non più di 12-15.000 italiani, anche a causa dei loro considerevoli costi: nel 2015 la spesa per il SSN ha superato i 115 milioni di euro.
“Negli ultimi 15 anni, la terapia delle MICI è stata rivoluzionata dall’entrata in prontuario dei farmaci biologici, anticorpi monoclonali che bloccano specifiche molecole responsabili dell’infiammazione intestinale”, dichiara Gionata Fiorino, gastroenterologo e medico ricercatore presso il Centro per la Ricerca e la Cura delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali di Humanitas. “Purtroppo queste terapie comportano costi elevati dovuti alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione su larga scala. Scaduto il brevetto di infliximab, primo anticorpo monoclonale introdotto per le MICI, EMA ha approvato CT-P13, il suo biosimilare: dal punto di vista farmacologico è equivalente all’originator ma, essendo prodotto da cellule viventi, ha una struttura molecolare che può variare leggermente, senza tuttavia alterare il profilo di efficacia, sicurezza ed immunogenicità.”
LO STUDIO
Un’ulteriore conferma della sovrapponibilità tra CT-P13 e l’originator emerge proprio dallo studio osservazionale multicentrico PROSIT-BIO, condotto tra il 2015 e il 2016 in 31 centri italiani di riferimento per le MICI. Sono stati reclutati 547 pazienti totali, dei quali 313 con malattia di Crohn e 234 con colite ulcerosa: 311 naïve ai farmaci biotech, 139 già esposti in precedenza alla terapia con anti-TNF (sospesa da oltre 6 mesi) e 97 sottoposti alla sostituzione di infliximab originator con il biosimilare (switch).
“Obiettivo principale dello studio – spiega Flavio Caprioli, ricercatore universitario in Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Milano e gastroenterologo presso la Fondazione IRCCS Ospedale Policlinico di Milano – era verificare la sicurezza del trattamento con CT-P13 nei malati di MICI. I risultati hanno confermato la sicurezza di CT-P13 sia nei soggetti naïve che in quelli sottoposti allo switch elettivo a biosimilare: l’incidenza di effetti collaterali, principalmente reazioni infusionali e manifestazioni cutanee, è risultata comparabile (7,4% nei naïve e 12,4% nello switch) e simile a quanto riportato in letteratura per l’originator. I dati hanno inoltre dimostrato che anche l’efficacia del biosimilare di infliximab è comparabile a quella del prodotto di riferimento: si è osservato un tasso di fallimento primario al farmaco del 10% nei pazienti naïve, dell’11% in quelli precedentemente esposti a anti-TNF e in nessun soggetto sottoposto a switch.”