Quando il dolore diviene cronico e persistente può andare a ledere la qualità della vita. In questo contesto, i Centri per la terapia del dolore analizzano il dolore, cercando di capirne l’origine e di porvi rimedio. “Se dobbiamo definire cosa si intende per terapia del dolore, è la disciplina della Medicina che si occupa della diagnosi e trattamento del paziente affetto da sintomatologia dolorosa acuta/cronica benigna/maligna”, spiega la dott.ssa Milena Racagni – dell’ASST Santi Paolo Carlo, Presidio San Carlo Milano, Terapia Intensiva Neurochirurgica e Terapia del Dolore – che tratterà il tema in occasione del LXII Congresso Nazionale Scienze Neurologiche Ospedaliere SNO, in programma a Firenze dal 27 al 30 settembre 2023.
“La terapia del dolore si rivolge a popolazione mista sia giovane sia anziana e trova una collazione particolare nell’ambito del cosiddetto ‘dolore nuropatico’, ovvero dolore derivante da anomala sollecitazione del sistema nervoso sia centrale che periferico”, prosegue Racagni. “Il dolore cronico è oggi una patologia a cui si riserva poca attenzione in ambito sanitario e sociale, benché ne soffrano circa 13milioni di italiani e 150milioni di cittadini europei. La popolazione italiana presenta una prevalenza di dolore cronico del 21,7%. Esiste inoltre una importante disparità tra le Regioni, sia per l’accesso alle cure sia come uso dei trattamenti. È fondamentale che il sintomo del dolore venga approcciato correttamente sia dal punto di vista della diagnosi che della terapia, in quanto premessa fondamentale per contenerne la cronicizzazione. Negli ultimi anni si sono sviluppati diversi Centri specializzati per la Terapia del Dolore ai quali si accede tramite richiesta del Medico di Medicina Generale o di altro Specialista, con la dicitura ‘prima visita terapia del dolore’.”
Come si può riconoscere il dolore? È possibile imparare a conviverci? Chi prova dolore, talvolta non riesce a identificarne la causa, con una serie di conseguenze nella propria quotidianità. Senza dimenticare che l’invecchiamento del corpo può comportare una serie di dolori che anch’essi impattano sulla qualità della vita. “Per il paziente è molto faticoso passare da un’idea di dolore acuto, di cui ha fatto solitamente esperienza nella vita, a una di dolore cronico”, prosegue Racagni. “Questo pone un primo ostacolo alla possibilità di aderire a piani terapeutici molto lunghi o addirittura che durano tutta la vita. Ricordiamo che la definizione di dolore cronico è un dolore persistente, continuo o ricorrente, che dura da più di 3 mesi. Diversamente dal dolore acuto, che è provocato da una specifica malattia o lesione, il dolore cronico diventa esso stesso malattia se non viene correttamente gestito. La terapia prevede un approccio multidimensionale e deve essere guidata dagli specialisti, evitando il self-management che spesso porta a ritardi nella corretta diagnosi ed inficia sui risultati terapeutici. È quindi importante – continua – che i pazienti affetti da dolore cronico si affidino alle cure dei medici terapisti del dolore, che hanno a disposizione un’ampia gamma di farmaci come i FANS, neuromodulatori ed oppioidi. Questi ultimi giocano un ruolo importante nel trattamento del dolore severo sia oncologico che benigno, anche se i pazienti sono spesso reticenti ad utilizzarli.”
“La ricerca scientifica, inoltre, compie perennemente passi in avanti per aiutarci a capire meglio il dolore e come porvi rimedio. Per esempio – continua Racagni – all’interno dei tessuti ci sono dei recettori nervosi periferici che, se stimolati ripetutamente da una noxa, innescano meccanismi di tipo infiammatorio che abbassano la soglia di risposta dei recettori stessi, provocando delle scariche spontanee e aumentando in modo anomalo la risposta agli stimoli. Questo meccanismo è detto sensibilizzazione periferica, e si manifesta clinicamente come iperalgesia, ovvero aumentata risposta agli stimoli dolorosi, e allodinia, sensazione dolorosa evocata da uno stimolo che in condizioni normali non provoca dolore. Questo processo può portare modificazioni irreversibili a carico del sistema nervoso che si traduce in persistenza cronica del dolore (neuropatico) anche quando venga meno lo stimolo nocicettivo.”
Le tecniche di neuromodulazione sono le procedure interventistiche che vanno ad interferire, per mezzo di campi elettromagnetici, con i meccanismi responsabili della genesi, dell’insorgenza e del mantenimento del dolore neuropatico; tra queste: la percutaneous electrical nerve stimulation (PENS) o le radiofrequenze pulsate (PRF). Durante la seduta di neuromodulazione, viene utilizzata una sonda speciale ad ago, introdotta attraverso sistemi di imaging radiologico a livello dei rami nervosi sensitivi interessati. Successivamente, viene trasportata attraverso l’apice della sonda una determinata quantità di energia, causando un blocco antalgico della branca sensitiva.
“Lo stress e l’isolamento sociale che hanno caratterizzato in particolare il periodo della pandemia Covid hanno sicuramente giocato un ruolo determinante sulla modalità di approccio al dolore”, afferma Racagni. “L’impossibilità e la difficoltà all’accesso alle cure, oltre al vissuto personale, sono da considerarsi fra le possibili concause della malattia dolore. Parallelamente, grazie ai progressi della Medicina e al miglioramento dei supporti sociali, l’età media della popolazione si è notevolmente elevata. Questo comporta una aumentata richiesta da parte di soggetti anziani e grandi anziani, che pertanto richiedono nella realizzazione del percorso di presa in carico (cura) il coinvolgimento della famiglia e/o dei caregiver.”
Tra le condizioni trattate nei Centri di Terapia del Dolore figurano: patologia a carico del rachide; esiti di interventi correttivi sulla colonna vertebrale; nevralgie; dolore neuropatico; dolore neoplastico cronico; dolori in osteoporosi; sindrome fibromialgia; esiti di interventi chirurgici; esiti di terapie radianti e esiti di trauma e patologie del connettivo. “La terapia del dolore si avvale sia di trattamenti farmacologici che trattamenti invasivi. È una disciplina che privilegia il lavoro in team con specialisti diversificati in funzione della diagnosi, ad esempio Fisiatra, Fisioterapista, Neuroradiologo, Reumatologo, Ortopedico, Neurochirurgo, etc. Questo – prosegue Racagni – permette di creare un team coordinato da un medico specializzato in terapia del dolore, ovvero l’anestesista.”
“A Milano è nata RED, la rete dei Centri di Terapia del Dolore che riunisce tutte le strutture metropolitane che si occupano di sindromi dolorose. Una prima risposta alle esigenze di cura e intervento sul dolore dovrebbe venire dai Medici di Medicina Generale. Pazienti che necessitano di approfondimenti più specialistici devono invece essere indirizzati verso i Centri di cura del dolore specializzati, organizzati a Milano nella rete assistenziale RED. Tale rete – conclude – rappresenta un riferimento per il Medico di Medicina Generale e ha l’obiettivo di rendere più accessibile la cura del dolore al paziente adulto e pediatrico.”