Nuova indagine per rispondere ai bisogni insoddisfatti di caregiver e pazienti con fenilchetonuria

La fenilchetonuria, PKU, è una malattia rara dovuta a un difetto congenito autosomico recessivo nel metabolismo della fenilalanina (Phe), amminoacido che non venendo scomposto si accumula all’interno dell’organismo in quantità tossiche e provocando gravi danni cerebrali. Per comprendere meglio il punto di vista del paziente affetto da PKU e della sua famiglia, è stata di recente realizzata un’indagine – realizzata da IXE su un campione di 241 rispondenti tra pazienti e caregiver, con il contributo di BioMarin – coordinata dalla dott.ssa Valentina Rovelli e dalla dott.ssa Annamaria Dicintio, Psicologa Clinica e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale. Obiettivo dell’indagine, identificare gli aspetti più impattanti nella gestione della malattia e le aree in cui i pazienti potrebbero beneficiare di interventi di miglioramento, in linea con l’obiettivo di rendere il paziente affetto da PKU sempre più paragonabile a un soggetto sano, sotto ogni aspetto.

La fenilchetonuria limita la capacità dell’organismo di metabolizzare gli alimenti proteici, in particolare quelli contenenti la fenilalanina (Phe), che se accumulata può portare nel tempo a effetti tossici che influiscono sulle capacità neurologiche, arrivando a causare ritardo neurocognitivo, disturbi motori (tremori, incoordinazione), disturbi del comportamento e dell’umore (iperattività, aggressività). Si tratta di una condizione che interessa circa 1 neonato su 10mila in Europa; in Italia, i pazienti con PKU sono circa 4mila.

Dal 1992 la PKU è inserita nello screening neonatale obbligatorio; questo ha consentito di compiere importanti passi avanti nella diagnosi precoce della malattia e nell’inserimento dei pazienti nel corretto percorso di cura. Sono però ancora molte le persone, nate prima di quella data, che hanno ricevuto una diagnosi e una dieta tardiva e a causa di questo hanno sofferto e soffrono di difficoltà cognitive al pari di chi pur diagnosticato dalla nascita non segue il regime ipoproteico necessario.

Dall’indagine è emerso che i sintomi più diffusi per chi soffre di PKU sono agitazione/ansia, che colpisce quasi metà degli intervistati, seguite da stanchezza fisica e sbalzi di umore; circa 1/3 dei pazienti soffre di difficoltà dell’attenzione, difficoltà di memoria, mal di testa/cefalea. Circa 1 su 4 soffre di irritabilità e 2 su 10 di tremori. Nella vita quotidiana dei pazienti, la PKU impatta in misura consistente nella relazione con il cibo; nell’organizzazione del proprio tempo – fattore più “pesante” tra i caregiver (adulti) che tra i malati stessi – e in misura minore su socialità e stato emotivo.

“La PKU è una complessa patologia che può influire significativamente sulle dimensioni emotive, sociali e comportamentali dei pazienti che ne sono affetti e dei loro familiari”, dichiara la dott.ssa Chiara Cazzorla, psicologa e psicoterapeuta UOC Malattie Metaboliche Ereditarie – Centro Regionale Screening Neonatale Metabolico Allargato, Azienda Ospedaliera di Padova. “Nonostante un’efficienza cognitiva generale comparabile ai soggetti sani grazie allo screening neonatale, i pazienti possono presentare alcune alterazioni dal punto di vista psicologico ed emotivo. La complessità della dietoterapia nonché l’impatto della patologia possono generare sia nei caregiver che nei pazienti un significativo disagio emotivo, un importante senso di impotenza, nonché frequenti difficoltà nelle relazioni sociali. Gli esperti di PKU sottolineano l’importanza di poter strutturare una presa in carico psicologica del paziente e dei familiari fin dal momento della comunicazione della diagnosi, con un approccio patient-centred, fondamentale nel trattamento di una patologia cronica per garantire un’efficace relazione terapeutica a lungo termine.”

Tra i bisogni evidenziati dai pazienti nella survey si trovano infatti l’attesa per una terapia che lasci maggiore libertà; maggiori informazioni su come gestire viaggi e attività sportive, oltre a un supporto psicologico per affrontare le difficoltà; facilitazioni nell’espletare le pratiche burocratiche. “Attualmente la terapia primaria per questa malattia rara consiste in un rigido regime alimentare ipoproteico, associato all’integrazione di aminoacidi sintetici e vitamine, che comporta un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti”, afferma la dott.ssa Valentina Rovelli, Clinica Pediatrica AO San Paolo – ASST Santi Paolo e Carlo, Università di Milano. “La necessità di mantenere gli interventi di trattamento sul lungo periodo rappresenta uno dei principali motivi per cui i pazienti spesso riducono la propria aderenza nel tempo, stanchi di dover limitare le proprie scelte alimentari con conseguente impatto psicologico/sociale rilevante.”

Uno dei problemi accusati dai pazienti è però la difficoltà a seguire la dietoterapia, con conseguenti problemi a livello neuro cognitivo. Se l’80% dei malati gestisce la PKU con una dieta, solo 2 adulti su 10 dichiarano di riuscire a seguire perfettamente la dieta a basso contenuto di fenilalanina e oltre la metà di seguirla ma non perfettamente. La situazione è più semplice per i pazienti in età pediatrica, in quanto seguiti dai genitori, ma le difficoltà possono apparire già nella fase dell’adolescenza, quando si sottraggono al controllo parentale. A fronte di questa complessa situazione nella gestione della malattia, importanti novità nei trattamenti promettono di compiere una decisa semplificazione e miglioramento: “In alcuni casi risulta possibile associare all’intervento dietetico un supporto farmacologico, costituito dal cofattore dell’enzima non correttamente funzionante nella malattia, tramite terapia orale. Inoltre, di recente, è stato approvato un nuovo farmaco per i pazienti di età maggiore di 16 anni e con valori non controllati di Phe, nonostante il trattamento con le opzioni terapeutiche disponibili”, continua Rovelli. “Tale trattamento, somministrato per via sottocutanea, risulta in grado di ridurre significativamente i valori di fenilalanina, raggiungendo valori raccomandati dalle linee guida europee, a fronte di un’alimentazione del tutto libera, una volta raggiunta la fase di mantenimento della terapia.”

Tuttavia, solo il 25% dei pazienti e dei caregiver dichiara di essere informato sull’esistenza di trattamenti farmacologici. “La ricerca sulla PKU ha consentito negli ultimi anni di trovare soluzioni che consentono ai pazienti di vivere una vita libera dalla malattia”, afferma Maria Tommasi, direttore medico di BioMarin Italia. “Poter consentire ai pazienti di mangiare per la prima volta cibi naturali anche semplici, finora proibiti dal regime dietetico ristretto, è un passo importante per migliorarne la qualità di vita.”