“Ospedale Sacco riferimento vaccinale per l’area milanese”

L’Ospedale Luigi Sacco si apre al territorio per diventare un punto di riferimento per tutta l’area milanese, affiancando gli ospedali che non dispongono di reparti di Malattie Infettive ma che quotidianamente devono affrontare problematiche infettivologiche. Un progetto che si svolgerà di concerto con la Regione Lombardia e tutta la rete infettivologica lombarda illustrato nei giorni scorsi a Milano in occasione dell’incontro Percorsi Vaccinali per i Soggetti Fragili: Nuove Prospettive per la Regione Lombardia, promosso da Aristea, con il supporto non condizionante di GlaxoSmithKline, presso l’Asst Fatebenefratelli Sacco. “Nel prossimo futuro l’Ospedale Sacco avrà il compito di organizzare le vaccinazioni sul territorio per diventare punto di riferimento per tutta l’area metropolitana milanese, in particolare per quanto riguarda le vaccinazioni in ambito ospedaliero che interessano i pazienti fragili”, dichiara Andrea Gori, direttore Malattie Infettive 2 presso l’Ospedale Luigi Sacco. “L’obiettivo è essere di appoggio offrendo collaborazione a tutti gli ospedali che non hanno dei reparti di malattie infettive ma che, quotidianamente, devono affrontare problematiche infettivologiche. Un’iniziativa che andrà anche oltre l’esperienza dei percorsi ospedalieri specifici per i pazienti fragili perché si esplicherà in un’azione di coordinamento, d’introduzione di policies e di supporto, che sarà condotta dalla rete infettivologica lombarda.”

Dal dibattito è emerso come per i pazienti cronici sia fondamentale l’aspetto della corretta informazione e quello del rapporto di fiducia con lo specialista, punto di riferimento che può aiutare a incrementare l’accesso alla vaccinazione. “Quando si parla di informazione ai cittadini sul tema della prevenzione nei confronti dei pazienti fragili, soprattutto in ambito vaccinale, bisogna considerare due differenti aspetti: uno legato alla fragilità sanitaria, che riguarda una fascia di popolazione caratterizzata da cronicità, età e multipatologie; l’altro, costituito da barriere quali la mancanza di fiducia e un basso livello di alfabetizzazione sanitaria”, afferma Rosaria Iardino, presidente Fondazione The Bridge. “Su questi fattori incide molto anche la disinformazione. Avere a che fare con la fragilità implica una cura particolare, anche e soprattutto nella comunicazione, perché l’utilizzo delle parole determina il senso delle informazioni e il modo in cui vengono recepite. La comunicazione troppo accelerata e mediatizzata crea infodemia e non funziona mai.”

“Occuparsi del paziente oncologico è un compito che deve abbracciare tutte le sue esigenze, accompagnandolo anche dopo il termine delle cure ospedaliere e nella programmazione dei controlli della malattia, la cosiddetta fase di follow-up”, dichiara Paolo Pedrazzoli, direttore SC Oncologia, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia. “Nel concetto di presa in carico del paziente oncologico non devono esserci interruzioni, ma il percorso deve essere garantito durante tutto il percorso di cura e di follow-up, e questo implica anche la protezione del paziente, alla luce della sua fragilità intrinseca, dal rischio di contrarre malattie che potrebbero compromettere ulteriormente il proprio stato di salute. Fra le case history affrontate anche quella della vaccinazione anti Herpes Zoster che, come previsto dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, può verificarsi più facilmente in presenza di alcune patologie o aggravarne il quadro sintomatologico, tanto che oltre alla fascia d’età anziana la vaccinazione è raccomandata in presenza di diabete mellito, patologie cardiovascolari, BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e in soggetti destinati a terapia immunosoppressiva. Comunemente noto come Fuoco di Sant’Antonio, l’Herpes Zoster è causato dalla riattivazione del virus varicella Zoster che colpisce le strutture nervose. Alla riattivazione, di solito, si associa una dolorosa eruzione cutanea che, nonostante possa manifestarsi in qualsiasi parte del corpo, compare più frequentemente su un solo lato del torace o dell’addome sotto forma di una singola striscia di vescicole. Il virus, infatti, dopo aver causato la varicella, rimane inattivo nel tessuto nervoso per poi risvegliarsi, a distanza di molti anni.”