Qualità delle relazioni influisce sul dolore

Malessere generalizzato, sensazione di stanchezza, irrequietezza e ancora depressione. Sono solo alcuni dei sintomi che potrebbero accompagnare una sindrome da dolore muscolo-scheletrico cronico diffuso, caratterizzata da dolore esteso a tutto il corpo. In base ai dati europei – dal momento che non esiste un dato direttamente osservato in Italia – si stima interessi una percentuale di italiani compresa tra il 10 e il 24%, perlopiù donne, probabilmente a causa della soglia del dolore più bassa rispetto agli uomini.

QUALI SONO LE CAUSE CHE LO ORIGINANO?

“È una condizione nella quale il dolore sembra avere soprattutto una sensibilizzazione centrale, che ha reali riscontri a livello del sistema nervoso centrale, e consiste in modificazioni delle vie di trasmissione del dolore e del corretto funzionamento dei neurotrasmettitori o delle citochine trasmettitoriali che hanno differenti cause. Particolare importanza rivestono anche gli stimoli che riceviamo quotidianamente dall’ambiente in cui si vive; tema che attualmente è molto discusso”, spiega Gianniantonio Cassisi, specialista in reumatologia presso l’Unità semplice dipartimentale di Reumatologia, poliambulatorio specialistico, Asl 1 di Belluno, in occasione dei lavori del XXII Congresso nazionale CReI. “Più che di ambiente sarebbe meglio parlare di interazione individuo-ambiente: come accade in natura, ci sono alcuni ambienti più favorevoli alla vita intesa in senso lato rispetto ad altri, ed è bene accrescere la consapevolezza sul tema”, precisa Stefano Stisi, Direttore della Reumatologia dell’AO San Pio, presidio Gaetano Rummo di Benevento e Past President del Collegio Reumatologi Italiani. In sostanza, se da un lato fattori genetici possono essere causa di amplificazione di un dolore cronico da locale o regionale a diffuso, dall’altro ciò che lo accentua potrebbe risiedere in un mix di fattori che hanno a che fare con le relazioni che si intrattengono. Come quelle che si hanno in un posto di lavoro inadeguato all’espressione del proprio talento e in cui non ci si sente realizzati, in un contesto sociale percepito negativo, perché fatto di relazioni poco soddisfacenti e “vampirizzanti”. Tutte queste situazioni possono attivare una cascata di meccanismi e di neurotrasmettitori all’interno dell’organismo in grado di aggravare la situazione dolorosa.

UNA VOLTA ARRIVATA LA DIAGNOSI, E SAPENDO CHE L’AMBIENTE PUÒ ACCENTUARE LA PERCEZIONE DEL DOLORE, QUALE TERAPIA SI PROPONE ALLA PERSONA CHE NE SOFFRE?

“Ci sono dei farmaci neuromodulatori in grado di intervenire sui punti di disarrangiamento del ‘sistema di difesa’ dal dolore”, prosegue Cassisi. “Si deve prevedere una terapia cognitivo-comportamentale fatta con degli esperti, che possa far prendere consapevolezza alla persona di ciò che non va come vorrebbe nel suo ambiente. Per aiutarla ad attuare eventuali modifiche o accettare la situazione senza far crescere lo stress.”

E IN RIFERIMENTO ALLA PRESCRIZIONE DI CANNABIS TERAPEUTICA?

“I cannabinoidi sono sostanze stupefacenti e in alcune regioni è consentito prescriverle per il trattamento del dolore cronico diffuso. Il problema grosso – sottolinea Cassisi – è l’attuale preparazione di cannabis terapeutica, ancora insoddisfacente in Italia, oltre che i cosiddetti prodotti cannabis light che si possono acquistare senza prescrizione medica, o ancora quello dei derivati fitoterapici di cui non si sa bene come siano prodotti. L’arrivo di capsule titolate, come all’estero, probabilmente, renderebbe la faccenda più semplice per tutti. C’è, però, ancora tanto da fare.”