“Quando e come utilizzare la cannabis in campo sanitario”

Chiarezza, differenziazione, appropriatezza. Queste le 3 parole “chiave” attorno alle quali si è articolato l’incontro dal titolo Cannabis e Sanità. Ripartire dalla Scienza, promosso da AdnKronos Comunicazione, con il supporto non condizionato di Jazz Pharmaceuticals, con l’obiettivo di fare luce su un tema che registra un interesse crescente, ma che, a volte, si scontra con la sua stessa complessità e con l’utilizzo di una terminologia non sempre appropriata. Partendo dalla parola “chiarezza”, il prof. Giorgio Racagni, past president della Società Italiana di Farmacologia Sif: “Innanzitutto dobbiamo ricordare che la cannabis è una pianta che, tra gli altri, contiene prevalentemente 2 principi attivi, il cannabidiolo (CBD) e il tetraidrocannabinolo (THC), di cui quest’ultimo è in grado di interagire con il sistema endocannabinoide del nostro organismo”, dichiara. “Questo contribuisce all’omeostasi, ossia alla stabilità dell’ambiente interno del corpo, e si attiva per riportare l’equilibrio quando questa viene meno, così come una sua ‘disregolazione’ può contribuire ad eventi patologici.” Passando alla parola “differenziazione”, è opportuno distinguere 3 principali categorie: alla prima appartengono i farmaci a base di cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, sottoposti a programmi rigorosi di sperimentazioni cliniche, come qualunque altro farmaco; alla seconda afferiscono invece i prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie, utilizzati a scopo terapeutico su prescrizione medica, spesso indicati con il nome di cannabis “medica” o “terapeutica”, impiegati principalmente nel dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale. In Italia, la cannabis per uso terapeutico può essere prescritta dal medico su ricetta non ripetibile. Infine, esistono i prodotti di consumo contenenti cannabidiolo, venduti direttamente al pubblico in negozi specializzati o online, che includono oli e altri prodotti a base di cannabidiolo, dispositivi per il vaping e ingredienti per cosmetici. Questi prodotti – di fatto – non rientrano nelle 2 categorie precedenti, e non sono autorizzati per finalità mediche.

Terza e ultima parola chiave del dibattito è “appropriatezza”, tema centrale, anche in relazione alle differenti categorie di prodotti derivati dalla cannabis: “Quando parliamo di appropriatezza prescrittiva, generalmente ci riferiamo ai farmaci”, afferma il prof. Marco Pistis, ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Cagliari. “Tra questi rientrano ovviamente anche quelli derivati dalla cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, che possono avere – come tutti i farmaci – effetti collaterali o interazioni farmacologiche. Ma si tratta di interazioni ben note, studiate e osservate durante gli studi registrativi. Sono monitorati anche nel post-marketing dal sistema di farmacovigilanza. Per cui si possono apportare modifiche alle schede tecniche e inserire ulteriori informazioni, limitazioni, controindicazioni, etc.”

“In questo scenario – dichiara la dott.ssa Laura Tassi, presidente della Lega Italiana Contro l’Epilessia Lice – quello che appare chiaro è che il rischio più grave sia quello dell’automedicazione o della prescrizione non adeguata perché non fatta dallo Specialista. Lo Specialista è figura indispensabile poiché garantisce ‘a monte’ una diagnosi precisa e puntuale. Altro elemento importantissimo è che, considerate le patologie in cui viene più utilizzata, la cannabis non viene mai prescritta da sola, ma in add on con altri farmaci, e solo lo Specialista è in grado di valutare l’interazione tra i farmaci ed eventuali effetti collaterali, che esistono e possono essere molto gravi. Riassumendo – conclude Tassi – lo Specialista deve fornire una diagnosi accurata, avere la formazione adeguata ad utilizzare la cannabis e proseguire nel follow-up, modificando eventualmente il dosaggio sulla base della risposta terapeutica.”

Dal dibattito è inoltre emersa la necessità di sradicare la convinzione, diffusa, secondo la quale “tutto ciò che è naturale non fa male”: “Questa è l’affermazione più falsa che ci sia”, dichiara il prof. Emilio Russo, ordinario di Farmacologia presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro. “Tra i veleni più pericolosi ci sono quelli che vengono dalla natura. E così anche la cannabis ha effetti collaterali, che in parte conosciamo, per i quali esiste un rischio importante. Nell’ambito oncologico, per fare un esempio, se l’utilizzo della cannabis non viene gestito in modo appropriato, c’è il pericolo che vada ad inficiare le altre terapie cui è sottoposto il paziente, se non causare un danno diretto. Ovviamente, questo vale in qualsiasi contesto clinico e, come per ogni sostanza, il rischio interazioni è sempre dietro l’angolo. L’importante – conclude – è evitare nella maniera più assoluta il ‘fai-da-te’, ma avere sempre alle spalle un medico specialista che si occupi della prescrizione e a cui fare riferimento in caso di eventuali criticità.”