Antitumorali e carcinoma mammario HER2+

Negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di diversi nuovi trattamenti antitumorali per il carcinoma mammario HER2+. Nonostante oggi questi farmaci, se somministrati in fase metastatica prolunghino moltissimo la sopravvivenza (cronicizzando la condizione, con oltre il 50% di pazienti vive per più di 5 anni), essi non sono in grado di eradicare la malattia. Se somministrati invece in fase non-metastatica, gli stessi farmaci – combinati con chirurgia e radioterapia – possono guarire definitivamente la paziente, evitando lo sviluppo di recidive e il lungo percorso di cura a esse conseguente. Per fare il punto sull’avanzamento della ricerca e sui nuovi standard terapeutici, Over Group ha organizzato l’evento di presentazione dello Studio sul Rischio Residuo di Recidiva nelle Pazienti con Tumore della Mammella HER2+, promosso dalla Fondazione Periplo e realizzato grazie al supporto non condizionante di Pierre-Fabre. Il carcinoma mammario rappresenta la neoplasia femminile a più elevata incidenza (circa 50mila nuovi casi all’anno nel nostro Paese); il tasso di curabilità è molto elevato grazie alla possibilità di applicare farmaci molto attivi in fase precoce, ma una parte delle pazienti va incontro alla metastatizzazione e necessita di terapie utili al controllo della malattia in fase avanzata. La maggior parte delle pazienti con tumore mammario HER2+ non metastatico guarisce definitivamente. Tuttavia, dall’indagine dei risultati delle sperimentazioni cliniche, effettuate dalla consensus conference della Fondazione Periplo, si evince come circa il 10% sviluppi una recidiva entro i primi 6 anni dalla diagnosi (con comparsa spesso di metastasi a distanza) nonostante l’uso delle più appropriate terapie.

“La constatazione di questi risultati ha spinto un gruppo di ricercatori e clinici esperti in tumore della mammella a confrontarsi per discutere sul da farsi, sotto l’egida della Fondazione Periplo”, dichiara Paolo Pronzato, direttore UO Oncologia Medica 2, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino Genova, coordinatore Rete Oncologica Liguria. “Nelle riunioni abbiamo esplorato quale potesse essere il bisogno insoddisfatto di queste pazienti e cercato poi un consenso su un’area non ancora coperta dai risultati della ricerca. Poiché la popolazione delle pazienti è molto eterogenea, si è dovuto trovare, attraverso una revisione sistematica della amplissima letteratura, quali fattori mettessero la paziente a rischio di avere una recidiva nonostante i trattamenti ad oggi disponibili superiore al 10% entro i primi 6 anni dalla diagnosi, rischio considerato inaccettabile comportando la metastatizzazione a distanza (e in alcuni casi al sistema nervoso). Sono stati identificati 3 gruppi di pazienti che ricadono in questa casistica: le pazienti con carcinoma mammario HER2+ con linfonodi positivi che ricevono terapia post-operatoria con Pertuzumab in aggiunta a trastuzumab, sebbene con un rischio modulato a seconda del numero di linfonodi coinvolti; le pazienti con carcinoma mammario HER2+, che trattati con chemioterapia e trattamento anti-HER2 pre-operatori, presentino residuo di malattia alla chirurgia; anche se trattati con T-DM1 dopo intervento chirurgico e le pazienti con carcinoma mammario HER2 che abbiano raggiunto una risposta patologica completa dopo trattamento con chemioterapia e terapia anti HER2 in fase pre-operatoria, ma che avessero un tumore iniziale di 5cm o superiore o linfonodi positivi prima di iniziare qualsiasi terapia. Per queste pazienti – prosegue Pronzato – bisogna puntare ad un potenziamento della terapia. Certamente bisogna continuare nella ricerca clinica con l’offerta del reclutamento in trial clinici scientificamente ed eticamente impeccabili, ma non bisogna dimenticare l’uso di farmaci non ancora rimborsati in Italia ma già ora disponibili attraverso fornitura in uso nominale o in altre indicazioni sul mercato italiano, perché sono anche questo un modo per prevenire la diffusione della malattia.”