In Italia le famiglie che versano in una situazione di povertà e in cui sono presenti 1 o più persone con disabilità vivono in una condizione di isolamento creata da muri relazionali, istituzionali e di contesto. Tra gli aiuti richiesti per raggiungere una migliore qualità di vita, 9 su 10 non sono per contributi economici, bensì per servizi “umanizzati”, sia per la persona con disabilità sia per i familiari, che siano in grado di mettere la persona al centro, per una presa in carico globale. È quanto emerge dalla ricerca Disabilità e Povertà nelle Famiglie Italiane, condotta da CBM Italia, organizzazione umanitaria attiva nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità e nell’inclusione delle persone con disabilità nel Sud del mondo e in Italia, insieme a Fondazione Emanuela Zancan Centro Studi e Ricerca Sociale, che ha indagato il legame nel nostro Paese tra condizione di disabilità e impoverimento economico e culturale. Lo studio è stato presentato in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, che ricorre il 03 dicembre 2023. “Negli ultimi 4 anni abbiamo rivolto il nostro lavoro anche in Italia con interventi che mirano all’inclusione e al rispetto dei diritti delle persone con disabilità, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite, nostra fonte di ispirazione”, dichiara Massimo Maggio, direttore CBM Italia. “Ci siamo chiesti quale sia la portata del legame tra disabilità e povertà anche nel nostro Paese. Da qui l’idea di questa ricerca sociale che desideriamo mettere a disposizione di tutti coloro che si occupano di disabilità, come strumento utile per favorire la cultura dell’inclusione.”
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia sono 3milioni le persone con disabilità (dato riferito al 2021) e 5,6milioni le persone in povertà assoluta (anno 2022). Povertà e disabilità sono concetti complessi, ed entrambi possono portare a forme di esclusione sociale: la definizione di povertà – spiegano i promotori della ricerca – include il disagio economico ma anche il disagio abitativo, lavorativo e la mancanza di istruzione, relazioni e opportunità; la disabilità è un fenomeno complesso perché riguarda non solo la persona in sé ma anche la sua interazione con l’ambiente sociale. In Letteratura viene riconosciuto come le persone con disabilità presentino un rischio maggiore di povertà o esclusione sociale. In Italia mancano però al momento indagini continuative in merito, spiegano: il rapporto Istat sulla Disabilità del 2019 elenca i motivi per cui la disabilità ha ricadute economiche sulle famiglie, come per esempio l’aumento delle spese e la difficoltà a mantenere il lavoro; a livello europeo, l’indagine Eurostat relativa al 2022 evidenzia come anche in Italia il 32,5% delle persone con disabilità siano a rischio povertà più delle persone senza disabilità (22,9%).
METODOLOGIA E CAMPIONE DI RICERCA
Lo studio si è basato sia su dati quantitativi, raccolti attraverso un questionario, sia su informazioni qualitative, emerse da testimonianze raccolte con interviste. Il questionario ha rilevato:
- Il profilo sociodemografico della persona con disabilità e dei familiari conviventi;
- Le condizioni di disabilità della persona;
- I principali interventi e servizi di cui la persona beneficia e quelli di cui avrebbe bisogno ma che sono sono assenti o inadeguati nel contesto di riferimento;
- La condizione economica della famiglia;
- Le reti su cui può contare e gli aiuti forniti verso l’esterno.
L’approfondimento qualitativo ha indagato:
- I principali bisogni della persona con disabilità e del nucleo familiare;
- La capacità del sistema di aiuti esistente di fronteggiare questi bisogni;
- La vulnerabilità socioeconomica;
Le risorse e le capacità considerate anche come possibile attivazione verso gli altri.
Il campione della ricerca – individuato con l’aiuto di numerosi Enti e Associazioni che hanno permesso di entrare in contatto con famiglie su tutto il territorio – è costituito da 272 persone cui è stato sottoposto un questionario; di queste, 57 sono state inoltre coinvolte anche nelle interviste qualitative. Si tratta di persone che vivono in famiglia, residenti in tutta Italia, 9 su 10 con cittadinanza italiana, di età compresa tra 14 e 55 anni, in una situazione di disagio socioeconomico. Dal punto di vista dell’istruzione, il 45% è in possesso di licenza media superiore. In riferimento alla disabilità, 9 su 10 hanno ottenuto il riconoscimento della condizione di invalidità civile; il 45% fa parte di un’associazione che le supporta. In riferimento alla situazione economica, in quasi 9 casi su 10 le famiglie intervistate vivono un disagio economico soggettivo cioè riconoscono di arrivare a fine mese con difficoltà. Dal punto di vista oggettivo:
- Il 62% non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 500 euro;
- 2 su 3 non possono permettersi 1 settimana di vacanza l’anno;
- Più di 4 su 10 si sono trovati in arretrato con il pagamento delle bollette;
- 1 su 5 ha avuto difficoltà a comprare il cibo necessario al sostentamento della famiglia;
- Quasi 1 su 3 non ha avuto soldi nell’ultimo anno per spese mediche (visite e medicinali).
Le quote si aggravano se la persona vive nel Sud del Paese, i genitori sono giovani, il livello educativo è basso, non fanno parte di associazioni a sostegno della disabilità.
CHE COSA EMERGE
Le famiglie coinvolte nello studio percepiscono e vivono in una condizione di isolamento: 1 su 6 non riceve alcun supporto dalle istituzioni; 1 su 4 non può contare su una rete informale fatta di amici, parenti non conviventi o volontari. Oltre il 70% è privo di rete amicale di supporto (materiale e immateriale) e il 55% non partecipa ad associazioni di supporto alla disabilità, quote che aumentano dove si registra un basso livello educativo. L’isolamento – spiegano gli autori – deriva anche dalla scarsa conoscenza delle opportunità esistenti e dalla poca consapevolezza dei propri diritti. Alle reti informali deboli si somma la permanenza del “muro” rappresentato dalle istituzioni, dalle quali le persone vorrebbero maggiore supporto, e quello del contesto socio-ambientale, dov’è ancora radicato lo stigma legato alla disabilità.
“Avendo una disabilità piuttosto grave – racconta uno dei familiari – molte volte o per ignoranza o per paura siamo stati lasciati soli e comunque noi non possiamo fare la vita che fanno gli altri, nel senso che… sì, [la persona con disabilità] cammina, ma fino a un certo punto; va fuori ma dopo un po’ si stanca e dobbiamo venire a casa; a casa di qualcuno non si può più andare perché lei si stanca e non si sente di far parte… siamo diventati un po’ ‘disabili’ anche noi, in questo senso, perché la nostra vita e la socializzazione non è come dovrebbe essere per persone della nostra età, perché ovviamente [la persona con disabilità] ci limita, dobbiamo seguire i suoi ritmi e non possiamo stare con i nostri ritmi.”
Dai dati quantitativi e qualitativi emerge come le famiglie facciano fatica ad arrivare a fine mese. Eppure, tra gli aiuti richiesti, 9 su 10 non sono contributi economici, bensì servizi rivolti sia alle persone con disabilità sia ai familiari, che siano in grado di promuovere interventi “umanizzati” e quindi più efficaci per mettere al centro la persona con disabilità, accompagnarla nelle sue esigenze e promuovere le risorse e le capacità: in sintesi, per una presa in carico globale. Le maggiori richieste riguardano gli ambiti dell’assistenza sociosanitaria (39%) e sociale (37%); aiuti nella mobilità (25%); più opportunità ricreative e di socializzazione (23%). Più del 70% dichiara di percepire già dallo Stato almeno 1 prestazione monetaria legata alla propria condizione di disabilità. Gli interventi sociali e sociosanitari sono invece affidati alle istituzioni territoriali: il 44% ha frequentato un centro diurno nell’ultimo anno; il 21% ha ricevuto, da parte del Comune o di soggetti privati convenzionati, prestazioni di aiuto e assistenza a domicilio; l’11% ha beneficiato di prestazioni sanitarie gratuite a domicilio da parte dell’azienda sanitaria (soprattutto se giovani e con disabilità fisiche).
Le famiglie stesse, nonostante le difficoltà del convivere con disabilità e povertà, hanno la capacità di offrire forme di sostegno agli altri: il 34% offre compagnia e conforto morale alla rete informale di riferimento. “Guardi che già fra di loro [le persone con disabilità] lo fanno”, racconta un intervistato. “Per esempio, il mio ragazzo, diciamo, che frequenta il centro, aiuta anche a portare una carrozzina, perché lui ha problemi a camminare e invece di portarsi il suo girello si appoggia alla carrozzina e aiuta l’altro. Si aiutano tra di loro. Guardi che tutti insieme sono uno spettacolo. Tutti insieme sono uno spet-ta-co-lo. Perché uno aiuta l’altro, perché si capiscono, perché capiscono le difficoltà.”
Da questo quadro emergono le capacità delle famiglie che, se valorizzate, possono rafforzare le opportunità di inclusione sociale e ridurre lo stigma ancora associato alla condizione di disabilità, sottolineano gli autori. L’inclusione sociale si realizza anche attraverso quella lavorativa. Lo studio rileva infatti come il disagio lavorativo riguardi in particolare le persone che vivono al Sud e nei contesti più svantaggiati dal punto di vista socioculturale. Il 38% è inabile al lavoro (quota che sale a 46% al Sud) e il 27% è disoccupato; il 34% (21% al Sud) ha ottenuto l’accertamento della disabilità per il collocamento mirato, ma il 51% non ha mai presentato la domanda (percentuale che sale al 65% al Sud e al 60% tra chi vive in famiglie con basso livello educativo). Poco più di 1 persona su 5 chiede in modo esplicito maggiori opportunità lavorative e formative sia per sé che per i propri familiari. Il carico di cura è considerato un ostacolo all’occupazione, con pesanti ricadute sul piano economico della famiglia, per questo è necessario favorire politiche di sostegno alla conciliazione tra i tempi lavorativi e di cura.
Investire nell’inclusione sociale e in quella lavorativa riporta alla questione del “durante e dopo di noi” che emerge in maniera significativa soprattutto dagli approfondimenti qualitativi: diverse famiglie hanno espresso preoccupazioni sul futuro dopo che genitori, fratelli e sorelle non saranno più in grado di prendersi cura della persona con disabilità. Un problema che preoccupa ancora di più le famiglie che vivono in condizioni di disagio socioeconomico e culturale, perché la questione non si limita a individuare la soluzione abitativa, ma costituisce un processo da costruire nel tempo, dando modo alla persona con disabilità di fare esperienze per acquisire le autonomie necessarie per vivere fuori dalla famiglia. “Da anni parliamo di quanto debba essere sostenuto e alimentato il protagonismo delle persone con disabilità”, continua Maggio. “Il risultato della nostra ricerca va ancora in questa direzione: le voci delle famiglie che abbiamo ascoltato ci confermano che il disagio sociale e culturale è più opprimente di quello economico. I servizi umanizzati che vengono richiesti devono entrare nel progetto di vita delle persone, per questo dobbiamo pensarli partendo dal riconoscere le risorse ed evidenziare il valore delle famiglie, per ridurre lo stigma e creare opportunità di inclusione. Per affrontare e favorire il “durante e dopo di noi” affinché diventi ‘con noi’.”