
La malattia di Parkinson potrebbe svilupparsi più facilmente in soggetti che vivono in zone con inquinamento atmosferico e quindi più esposte a elevati livelli di diossido di azoto nell’atmosfera rispetto a chi vive in zone meno inquinate. A sostenerlo, alcuni ricercatori sudcoreani. Per arrivare a queste conclusioni, gli studiosi, coordinati da Sun Ju Chung, professore di Neurologia presso l’Asan Medical Center e presso lo University of Ulsan College of Medicine, Seoul – hanno esaminato i dati sulla malattia di Parkinson incidente e sull’esposizione a inquinanti dell’atmosfera, tra cui polveri sottili (PM 2.5 e PM 10), diossido di azoto, ozono, diossido di zolfo e monossido di carbonio in una coorte di 78.830 adulti che vivevano a Seoul. Durante un follow-up mediano di 8,6 anni, 388 persone hanno ricevuto diagnosi di malattia di Parkinson.
Dal punto di vista fisiopatologico sono diversi i possibili meccanismi patogenetici che potrebbero spiegare la correlazione. “Se si inala diossido di azoto, l’azoto potrebbe avere un effetto tossico sul nervo olfattivo, data l’esposizione anatomica del nervo olfattivo agli agenti inquinanti nell’aria”, osserva Chung. “È interessante notare che l’alfasinucleina patologica della malattia di Parkinson ha origine dal bulbo olfattivo e dal nucleo motore dorsale del vago, quindi il diossido di azoto potrebbe avere un effetto diretto sul cervello a partire dal nervo olfattivo.”
I ricercatori hanno osservato un’associazione tra malattia di Parkinson e esposizione a diossido di nitrogeno quando i livelli nell’aria durante i 5 anni precedenti alla data di inizio erano superiori a 0,038 parti per milione. Il livello mediano di esposizione al diossido di azoto durante il periodo di studio è stato di 0,033 ppm (range 0,026-0,045). “Inoltre – aggiunge Chug – l’inalazione di diossido di azoto potrebbe aumentare le citochine proinfiammatorie sistemiche, come interleuchina-1beta, IL-6, IL-8 e TNF-alfa, che potrebbero essere legate alla neuroinfiammazione nel cervello, un meccanismo patogenetico molto importante nella malattia di Parkinson e in altre patologie neurologiche.” La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica JAMA Neurology.