Schizofrenia e progetto MoMa. Un nuovo modello di management

Presentati all’ultimo Congresso della Società Italiana di Psicopatologia (SOPSI 2017) i primi risultati di applicazione del progetto MoMa – Modello di Management del percorso di cura del paziente affetto da schizofrenia: il trattamento con un farmaco atipico a rilascio prolungato, fin dalle prime fasi del disturbo, permette di ridurre notevolmente i costi sia diretti che indiretti della patologia. E il risparmio non è certamente poco essendo, già dopo un anno, di 12 milioni di euro, che potrebbero salire fino a 90 milioni nei successivi cinque anni. È la riduzione nella spesa del trattamento della schizofrenia che, secondo le stime, si potrebbe ottenere in Italia applicando un nuovo approccio diagnostico-terapeutico elaborato da un board multidisciplinare di esperti all’interno del progetto MoMa. Questo innovativo modello è stato la base per un’analisi di farmaco-economia realizzata dal Centre for Economic and International Studies dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata in collaborazione con l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, con il contributo incondizionato di Otsuka e Lundbeck.

Ospedalizzazioni frequenti, terapie a lungo termine, perdita di produttività e costi assistenziali a carico delle famiglie. La schizofrenia è una grave malattia psichiatrica cronica e progressiva, che ha assunto le dimensioni di una e vera propria emergenza sanitaria: in Italia il peso economico è pari a circa il 2,3% dell’intera spesa sanitaria nazionale. Si stima, infatti, che l’impatto economico e sociale della schizofrenia ammonti a quasi 2,7 miliardi di euro annui, divisi equamente tra costi diretti e indiretti, questi ultimi dovuti principalmente alle pensioni di inabilità, alla perdita di produttività e all’assistenza dei famigliari. Il nuovo modello di cura elaborato all’interno del progetto MoMa ha dimostrato che si può incidere sulla struttura dei costi della schizofrenia, riducendo alcune delle voci di spesa più impattanti, come quelle legate alle co-prescrizioni, alle ospedalizzazioni e alla residenzialità.

“La schizofrenia è un’emergenza sanitaria troppo spesso sottovalutata. Il ‘sommerso’ ha dimensioni importanti: dei 300 mila pazienti italiani, solo fra i 210 e 220 mila sono correttamente diagnosticati. Di questi più del 17,6% non riceve un trattamento farmacologico. Sono dati che non possono essere ignorati, perché compromettono la qualità di vita dei malati e determinano costi ingenti sulle famiglie e sul Sistema Sanitario Nazionale. Intervenire è quindi necessario – afferma Paolo Girardi, Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso (NESMOS) dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza – e i primi dati del progetto MoMa mostrano le potenzialità del nuovo algoritmo diagnostico-terapeutico. Il trattamento con un farmaco atipico a rilascio prolungato nei pazienti in giovane età e fin dalla prima manifestazione della malattia può facilitare il recupero della funzionalità mentale, riducendo l’impatto della patologia sulla qualità di vita delle persone costrette a conviverci e dei loro familiari.”

La schizofrenia ha spesso un esordio sfumato, in giovane età (15-35 anni), che rende difficile la diagnosi e il trattamento. Tra i pazienti il tasso di mortalità è di 2-2,5 volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale, con un rischio di suicidio che si attesta intorno al 10%. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la schizofrenia è responsabile dell’1,1% del totale di anni di vita persi a causa della disabilità (disability-adjusted life years, DALY) e del 2,8% di anni vissuti in condizioni di disabilità (years lived with disability, YLDs).