La spondilite anchilosante fa parte di una famiglia di patologie infiammatorie croniche che comprendono anche l’artrite psoriasica. Solitamente provoca una grave compromissione della mobilità della colonna vertebrale e della funzionalità fisica, con ripercussioni sulla qualità di vita. Nella maggior parte dei casi, esordisce in pazienti di età compresa tra i tredici e i vent’anni, in particolare di sesso maschile. I familiari dei soggetti affetti da SA presentano un rischio maggiore di sviluppare la malattia.
La SA è una malattia infiammatoria cronica che causa dolore e rigidità vertebrale e articolare che, se non adeguatamente gestita, può portare a una significativa perdita di mobilità. Molti pazienti affetti da SA rispondono in modo non adeguato agli standard attuali di cura con farmaci anti-TNF. Nei casi più gravi può avvenire la fusione tra colonna vertebrale e articolazioni soprastanti il coccige. Per seguire la progressione della SA e l’efficacia del trattamento occorre eseguire radiografie, TC o RM della colonna vertebrale o delle articolazioni sacroiliache.
Il miglioramento dei sintomi di SA è valutato in base ai criteri di risposta ASAS (ASAS 20), definita come un miglioramento di almeno il 20% e un miglioramento assoluto di almeno 10 unità su una scala da 0 a 100 mm in almeno tre dei seguenti parametri: miglioramento della flessibilità, del dolore notturno, della capacità di svolgere particolari attività, della rigidità mattutina e assenza di peggioramento della patologia. La percentuale di pazienti che raggiungono una risposta ASAS 20 è un approccio accettato per valutare l’efficacia dei trattamenti nella SA. Un recente studio a lungo termine sui pazienti con spondilite anchilosante (SA) ha evidenziato che quasi l’80% dei soggetti trattati i con il secukinumab non presentava progressione radiologica (mSASSS <2) della malattia a livello della colonna vertebrale a 4 anni.