Lo sport è una pratica fondamentale per la prevenzione, ma non è sufficiente per garantirsi un sistema immunitario efficiente. Il tema è stato al centro del live talk dal titolo Sport & Prevenzione: il Ruolo della Vaccinazione per un Sistema Immunitario Allenato e Sempre in Forma, recentemente svoltosi a Roma presso la sede di Adnkronos. Ospiti Maurizio Casasco, presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana; Sergio Pecorelli, rettore emerito dell’Università di Brescia e presidente del Comitato Scientifico FMSI; Andrea Siddu, Ufficio 5, direzione generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute; Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e Rino Agostiniani, della Società Italiana Pediatria; moderatore il vicedirettore Adnkronos, Fabio Insenga. I dati contenuti nell’Annuario Statistico Italiano 2021 riportano che il 36,6% della popolazione pratica almeno 1 sport, di cui il 27,1% in modo continuativo, rispetto al 9,5% che lo fa saltuariamente. In larga parte si parla di frequentatori di federazioni o associazioni sportive dilettantistiche: basti pensare che nel 2020 il Coni contava oltre 13milioni 113mila persone tesserate e circa 115mila organizzazioni, tra associazioni e società sportive dilettantistiche. Da qui il ruolo che i medici di Medicina dello Sport rivestono nel controllo della salute di chi voglia praticare un’attività sportiva, che non può escludere il tema delle protezioni vaccinali. Infatti, già nel 2017 la Società italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica S.It.I. con la Federazione Medico Sportiva Italiana Fmsi produssero un documento sull’uso delle vaccinazioni negli atleti sportivi professionisti, suddiviso tra sport individuali, di squadra o di combattimento ma anche tenendo conto del luogo in cui si svolge l’attività e delle condizioni specifiche dell’atleta. “L’atleta è più a rischio specie per quella finestra che segue lo sforzo fisico in cui il sistema immunitario è più debole, per questo sollecito che le vaccinazioni raccomandate siano fatte da tutti gli sportivi”, dichiara Signorelli. “Vanno considerate le fasce di età, ma anche il tipo di attività sportiva: negli sport di contatto, ad esempio, ci può essere anche uno scambio di liquidi biologici e per questa ragione si raccomanda la vaccinazione contro l’epatite B. Ma va valutato ogni caso, come già evidenziato in lavori specifici delle società scientifiche, che differenziano quali vaccinazioni, tra obbligatorie e raccomandate, siano da fare in base all’attività sportiva. E ciò richiama i medici sportivi e i medici di famiglia, che certificano l’idoneità, a verificare lo stato vaccinale del singolo. Teniamo conto – prosegue – che gli atleti stranieri, che fanno attività in Italia, a volte hanno buchi importanti nelle coperture, anche per quel che riguarda le vaccinazioni essenziali. Inoltre, vediamo che in adolescenza c’è un calo dell’adesione al calendario vaccinale: per l’Hpv, ad esempio, si è scesi in alcune regioni anche sotto al 50% di copertura, nonostante il vaccino sia gratuito e a offerta attiva. Pari sensibilizzazione va fatta anche per le meningiti, evidenziando che i richiami sono importanti.”
Attenzione particolare rivolta anche all’età dei praticanti: sempre l’Annuario statistico ricorda come si tratti di bambini e adolescenti: il 58% della fascia 6-10 anni; il 60,5% tra gli 11 e 14 anni; il 50,1% nell’età 15-17 anni. Crescendo le percentuali si riducono, ma non va trascurata nell’adulto la fascia più alta, pari al 37,3%, che riguarda persone tra i 65 e i 74 anni. Tutte categorie che necessitano di una protezione vaccinale mirata per poterne tutelare la salute. “La vaccinazione dà protezione individuale ma anche comunitaria, ma quando parliamo di salute non è solo compito dello Stato e della sua organizzazione sanitaria”, afferma Pecorelli. “Ci sono anche le famiglie a giocare un ruolo centrale, per questo occorre che ci sia una educazione sanitaria diretta alla popolazione e su questo fronte c’è molta strada da fare. Per questo la medicina dello sport gioca un ruolo importante, perché incontra non solo i giovanissimi, ma anche gli adulti che iniziano una pratica sportiva. La collaborazione tra specialisti, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici dello sport non può essere lasciata al caso. Anche perché c’è comunque una fetta consistente di bambini che non fa sport e magari appartiene alla popolazione più fragile. Serve quindi un patto tra medico dello sport e famiglia.”