Stenosi della valvola aortica. Oggi più facile sostituirla

La stenosi della valvola aortica (il processo di ispessimento e irrigidimento dei lembi che può determinare un restringimento anomalo della valvola e la riduzione della circolazione sanguigna), è una patologia grave e progressiva che colpisce circa il 3% della popolazione di età superiore ai 65 anni e il 5% degli over75. Se non trattata, può causare scompenso cardiaco, infezioni e, in molti casi, morte cardiaca improvvisa. Considerata la lesione valvolare più comune, colpisce, solo in Europa, circa 1,2milioni di persone.

Il trattamento più frequente prevede la sostituzione della valvola malata con una valvola artificiale. Tuttavia, non tutti i pazienti sono idonei alla procedura; alcuni sono considerati ad alto rischio di intervento chirurgico e, dunque, non operabili. L’unica soluzione terapeutica valida per questi pazienti è rappresentata dalla sostituzione “non invasiva” della valvola malata tramite un impianto transcatetere (TAVI), con l’inserimento di un sottile catetere nella gamba o nel torace.

Numerosi studi clinici internazionali hanno dimostrato che le “dimissioni anticipate” dopo una procedura TAVI non pregiudicano in alcun modo la sicurezza o la qualità dell’assistenza al paziente, mentre il ritardo nelle dimissioni dopo un ricovero ospedaliero è stato addirittura associato a un aumento dei rischi di complicanze (Wayangankar SA et al. J Am Coll Cardiol Intv 2019). Uno degli argomenti ricorrenti contro le dimissioni anticipate dei pazienti sottoposti a TAVI è stato quello legato all’esigenza di un impianto di pacemaker permanente, con una percentuale pari al 35% (Cahill TJ et al. European Heart Journal 2018). Tra gli altri, il sistema valvolare aortico ACURATEneo autoespandibile, di Boston Scientific, ha evidenziato percentuali di impianto di nuovi pacemaker inferiori. La tecnologia ha inoltre messo in luce la riduzione di complicanze postoperatorie, quali emorragia letale (l’1% contro l’8%) e complicazioni vascolari gravi (l’1% contro il 9%), contribuendo alla dimissione ospedaliera anticipata. I dati dello studio (Kotronias RA, et al.) sono stati presentati in occasione dell’EuroPCR 2019.