Per chi è affetto da una malattia non curabile in altro modo, il trapianto rappresenta spesso un ritorno alla vita. A renderlo possibile, è il gesto di solidarietà e generosità di un donatore che, generalmente, esprime la volontà di regalare i propri organi, in caso di decesso, a chi è in lista d’attesa. Solo nel caso del rene e del fegato, è possibile la donazione da persona vivente a un famigliare. Le strutture che eseguono trapianti in Italia sono 98: il 48,4% si trova al Nord, il 17,9% al Centro e il 33,7% al Sud. “Nel caso il paziente necessiti di un trasferimento, la responsabilità è della Regione di residenza. Se è in gravi condizioni, il centro regionale organizza il trasporto su un volo di linea, quando disponibile, oppure su uno di una compagnia privata o su un volo di stato”, dichiara Nanni Costa, Direttore Generale del Centro Nazionale Trapianti.
Quanto all’andamento della rete, i dati diffusi dal Centro Nazionale Trapianti raccontano di un’Italia sempre più generosa e di un sistema sempre più efficiente. Il 2016 si è infatti chiuso con un bilancio molto positivo e i dati preliminari diffusi a giugno lasciano ben sperare anche per il 2017: i trapianti da donatore cadavere sono aumentati dell’11,7%, passando dai 3411 del 2016 ai 3809 del 2017. Alla base, c’è la crescita del numero dei donatori (+19%) e quello dei donatori utilizzati (+16,9%). Se nel 2016 questi ultimi sono stati 1298, nel 2017 salgono a 1518, il che si traduce in un aumento di 3,6 donatori utilizzati per milione di persone. Incrementi importanti, in questo contesto, si registrano in Abruzzo-Molise, con un +83%, e in Friuli Venezia Giulia, con un +76,8%: dato che, se confermato, farebbe del Friuli la prima Regione in Italia come donatori utilizzati per milione di persone (51,6). Il trend è positivo anche per quanto riguarda il numero di opposizioni: se nel 2016 erano il 32,8%, quest’anno sono appena il 27,7%. A distinguersi, in questo campo, è la Basilicata che ha registrato una riduzione record (-38,7%), seguita a distanza da Campania (-11,2%), Sicilia (-11%), Lazio (-8,9%), Molise (-8,3%) e Calabria (-5%).
Aumenta inoltre anche il dato sugli accertamenti di morte, che passano da 2478 a 2734, con una crescita del 10,3%; conseguentemente, aumentano anche gli accertamenti per milione di persone, da 40,8 a 45,1. “L’accertamento di morte è una precondizione assoluta e indispensabile per poter procedere con il prelievo degli organi”, spiega Costa. Il prelievo è possibile solo in caso di morte cerebrale accertata, una condizione in cui il paziente perde in modo irreversibile tutte le funzioni cerebrali (il che coincide con la morte della persona). In questo contesto, il Friuli Venezia Giulia ha fatto grandi passi avanti: con il 68% in più di constatazioni di morte, passa da 53,7 accertamenti per milione di persone a 90,9. Regione capofila si riconferma la Toscana: è qui che, in rapporto al numero di abitanti, si fanno più accertamenti, ben 101,8 per milione di persone. “In Toscana – commenta Costa – il paziente neuroleso viene portato in rianimazione anche se non ha alcuna possibilità di sopravvivenza, ma solamente per fare l’accertamento di morte con criteri neurologici. Si tratta di un’ulteriore misura di sicurezza. Nel resto d’Italia, invece, questo paziente viene portato in rianimazione solo se c’è l’indicazione terapeutica.”
Infine, un altro dato positivo riguarda le liste d’attesa: da un lato calano quelle per il trapianto di polmone (-7,2%) e di rene (-2,2%); dall’altro aumentano quelle per il trapianto di pancreas (+3,3%) e di cuore (+7,3%). “Negli ultimi due casi – conclude Costa – le liste sono ‘sottostimate’. L’aumento dipende soprattutto dal miglioramento delle terapie pre-trapianto. Con l’introduzione del cuore artificiale, infatti, si è allargata la platea dei pazienti trapiantabili.”