“Troppi farmaci antinfiammatori consumati e prescritti nella gestione clinica delle patologie croniche, malattie che nel dolore hanno una delle più gravose espressioni cliniche e che potrebbero giovarsi più appropriatamente dell’uso di varie classi di oppioidi che in mani esperte e nelle nuove formulazioni ottengono buoni risultati, con effetti collaterali di facile gestione e minore tossicità a lungo termine”, dichiara Pasquale Buonanno, ricercatore e docente di Terapia Antalgica e Anestesiologia presso l’Università Federico II di Napoli, che nei giorni scorsi ha aperto a Roma una Tavola Rotonda promossa da Motore Sanità sull’argomento. Dei 13milioni di pazienti italiani sofferenti, soltanto 8milioni sarebbero in carico al Ssn: “Mentre i Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) sono spesso dispensati senza ricetta medica e prescritti per mesi in soggetti anziani e fragili con conseguenze sulla coagulazione (rischio emorragico), una notevole tossicità epatica e renale, per gli oppiodi – che in mani esperte sono più efficaci e con minori effetti collaterali – persistono diffidenze culturali e si assiste a una ridotta prescrizione, a una scarsa conoscenza, a una scarsa formazione della Medicina primaria nel loro uso e dunque a un largo sottoutilizzo nelle varie discipline mediche specialistiche”, afferma Buonanno. Resistenze culturali, ritardo formativo, inadeguatezza delle reti ambulatoriali e ospedalieri Hub e Spoke si tradurrebbero dunque in pochi trattamenti del dolore per chi ne potrebbe giovare: nel confronto con gli altri Paesi, il consumo pro-capite di oppioidi ammonta a 1,6 euro annui in Italia; 5 euro in Europa; 10 in Germania. Il periodo di tempo entro il quale una patologia si “cristallizza” in un dolore cronico è stimato in 3 mesi.
Al dibattito sono intervenuti la sen. Lavinia Mennuni, di Forza Italia; Andrea Casu, parlamentare del Pd; l’ex ministro e sen. Beatrice Lorenzin; la sen. di Forza Italia Simona loizzo; Annamaria Parente, presidente Commissione Sanità XVIII Legislatura al Senato; Enrico Rossi, Relazioni con le Regioni Motore Sanità, già presidente Regione Toscana; Federico Casale, di Antea; Raffaella Pannuti, presidente Ant; Michele Sofia, direttore Sanitario Ats Bergamo.
Da non trascurare il dato degli accessi impropri in pronto soccorso determinati da una mancanza di una rete territoriale per il dolore e l’insufficienza delle reti hub e spoke di Centri per il trattamento del dolore: “Quando il dolore pendere il suo nesso con la patologia che lo ha causato diventa una entità clinica autonoma che incide su tutte le fragilità della persona e invade la vita sociale e lavorativa del paziente”, afferma Michele Sofia, direttore Sanitario Ats Bergamo. “Non siamo all’anno zero”, dichiara l’ex ministro e sen. Beatrice Lorenzin. “Già prima del mio mandato sono state emanate leggi e norme su questa materia e nel 2017 aggiornati i Lea (livelli essenziali di assistenza, ndr) inserendovi le cure palliative. Esiste però un 41% di pazienti che avrebbero diritto a usufruire di terapie e non le hanno. Dobbiamo continuare a lavorare per scardinare reticenze e timidezze di alcuni sanitari a prescrivere la terapia del dolore. Un passo avanti sul fronte della formazione è stato fatto istituendo una Scuola di formazione ad hoc.”
“Una norma mai applicata compiutamente [è] la Legge 38 del 2010: solo 1 paziente su 4 tra tutti quelli candidabili alla palliazione, tra cui 30mila bambini”, sottolinea Raffaella Pannuti, presidente Ant. “Il 19% degli uomini e l’11% delle donne affetti da dolore cronico in Italia attendono fino 10 anni prima di ottenere un corretto inquadramento diagnostico del proprio dolore; il 17,7 % degli Italiani si è rivolto a più di 5 medici prima di riuscire a trovare uno specialista che sia stato in grado di inquadrare e risolvere il proprio problema. Nel nostro Paese, l’11,8% dei pazienti affetti da dolore cronico non riceve alcun tipo trattamento, percentuale ben al di sopra degli standard europei; circa il 20% della popolazione generale – oltre il 50% nella popolazione anziana – in Italia è affetto da dolore cronico. A ciò si aggiunge la scarsa conoscenza da parte della popolazione della terapia del dolore: il 25% dei pazienti con dolore cronico non ha mai consultato uno specialista algologo; il 15% non è a conoscenza di questa figura medica.”
I pazienti arriverebbero dunque alla terapia del dolore con estremo ritardo, solo dopo aver tentato strade infruttuose. Tra i nodi irrisolti emersi dal confronto:
- “Incompleta attuazione della legge 38/2012 (nonostante siano trascorsi più di 12 anni);
- Scarsa conoscenza della terapia del dolore e delle opzioni terapeutiche da parte degli stessi medici che dovrebbero orientare il percorso diagnostico-terapeutico del paziente le cause principali di questo gap;
- Costi diretti annui a carico del Sistema Sanitario Nazionale pari a 1.400 euro per ciascun paziente (in termini di farmaci, ricoveri e diagnostica) e 3.200 euro di costi indiretti (perdita di giornate lavorative e distacchi definitive dal lavoro), con una spesa annua a carico del Servizio sanitario di circa 11miliardi di euro (circa il 10% della spesa sanitaria nazionale), cui va aggiunta una perdita di produttività difficilmente calcolabile legata alla riduzione del rendimento di quei pazienti che, nonostante il dolore, continuano a svolgere il proprio lavoro.”
Prendere in carico un paziente – concludono gli esperti – significa pianificare il suo percorso diagnostico-terapeutico attraverso un approccio multidisciplinare da cui la terapia del dolore non può prescindere.