“Ho il tumore della prostata; quale intervento è consigliabile?”

Domanda

“Gent.mo Professore,

Sono un uomo di 67 anni con diagnosi di adenocarcinoma prostatico, biopsia (transperineale) 12 prelievi 1 frammento positivo gleason score 3 +3; precedente biopsia 12  prelievi negativa. Psa totale 7,15 libero 0,85. Rmn con mdc negativa. Prostata ipertrofica volume ecostimato 51 ml,  assumo silodyx 8 mg. Da qualche anno in terapia con metformina e cardioaspirina, ottimo compenso glicemico e ottimi valori ematici. Ho consultato privatamente diversi specialisti, uno afferma che l’intervento chirurgico nel mio caso appare ridondante, propone sorveglianza attiva, un’altro hifu, l’ultimo sconsiglia sorveglianza attiva e hifu e dice di procedere con una brachiterapia, spiegandomi  tecnica e possibili effetti collaterali. Dopo essermi aggiornato su prostatectomia radicale e brachiterapia, a me è sembrato di capire che quest’ultima non è così scevra da complicanze anzi sembrano maggiori rispetto all’intervento chirurgico.

Prostatectomia: l’effetto collaterale per me molto grave è l’incontinenza urinaria. Brachiterapia: complicanze acute come cistiti, urgenza minzionale, pollachiuria, ostruzione urinaria… che se non si risolvono sono limitanti nella vita quotidiana… a lungo termine cistite/proctite attinica con conseguenze devastanti,  c’è chi è arrivato a dover fare una cistectomia… più il rischio di tumori secondari.

Ho esposto tutto ciò allo specialista che continua a sminuire notevolmente gli effetti collaterali della brachiterapia e mi dice che se la prostatectomia fosse così universalmente efficace ed indenne da complicazioni,  non si penserebbe a proporre trattamenti alternativi.
Professore ho bisogno di un suo illustrissimo parere perché non riesco a procedere e sono così da mesi.

Io da una parte mi sentirei anche fare un intervento di prostatectomia radicale, la mia paura è il rischio legato all’intervento (anestesiologico cardiaco, infezione, setticemia…) e incontinenza urinaria.. però se supero tutto,  mantenendo una buona continenza, di ciò avrò solo un ricordo. Invece con la brachiterapia ho paura di aver qualche sorpresa anche dopo diverso tempo… e di avere molti problemi a livello urinario. Ormai da anni pratico giornalmente atletica a livello amatoriale, ho un’alimentazione salutare, faccio di tutto per tenermi fisicamente attivo… non potrei perdere questo, una vita sedentaria mi porterebbe a perdere il controllo glicemico con tutte le conseguenze dell’iperglicemia, maggiore rischio cardiaco…

Io non sono in grado di mettere sulla bilancia i due trattamenti, chirurgia e brachiterapia, mi può aiutare? cosa pensa della brachiterapia?

Ringrazio per l’eccellente servizio.
Cordiali saluti.”

Risposta

Davanti a una diagnosi di tumore prostatico gli uomini devono essere informati su tutte le opzioni terapeutiche a disposizione in modo che possano valutare bene i pro e i contro di ogni scelta. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che gli esiti sono migliori se a seguire il malato c’è un team e non un singolo specialista. In pratica la multidisciplinarietà rappresenta un approccio vincente che vede urologi, oncologi, radioterapisti e psicologi lavorare insieme nell’ottica di una migliore gestione del paziente. In ogni caso, oggi molti tumori (oltre la metà di quelli diagnosticati ogni anno) appartengono a una categoria di rischio basso o addirittura molto basso e quindi avranno una “storia naturale” molto lunga. Questi tumori “indolenti” possono non avere una rilevanza clinica per la vita del paziente (in pratica non incidono sul suo pericolo di morte o sulla sua salute generale) e potrebbero non necessitare di un trattamento invasivo immediato. In questi casi, le scelte terapeutiche come chirurgia (comunque eseguita, a cielo aperto, laparoscopica o robotica), radioterapia radicale a fasci esterni e brachiterapia, che prevede l’inserimento nella prostata di semi (o di aghi) radioattivi, trattandosi di una forme a rischio molto basso (un solo prelievo positivo e RMN negativa)  devono essere prese in considerazione anche le strategie osservazionali, come la sorveglianza attiva, che prevedono di limitarsi ad osservare nel tempo come si comporterà il tumore, per decidere se e quando intervenire, facendolo solo nei pazienti che ne avranno bisogno, se e quando ne avranno bisogno.