
Garantire alle pazienti l’accesso al test per individuare la mutazione del gene Brca – il cosiddetto “gene Jolie”, dal nome dell’attrice che dopo aver scoperto di essere portatrice della mutazione espressione del tumore ovarico ha scelto di sottoporsi a chirurgia preventiva – potrebbe significare terapie più efficaci e uno screening preventivo anche nel resto della famiglia: ottenere però tale test in Italia, risulta una strada in salita ancora per una paziente su tre. A lanciare l’allarme sono stati i medici in occasione dell’incontro di formazione “Il Caso Gene Jolie: Come Comunicare con Chiarezza e Rigore le Opportunità dei Test Genetici nella Lotta Contro il Tumore”.
Secondo gli specialisti, il test andrebbe eseguito su tutte le donne con tumore all’ovaio, come prevedono anche le linee guida dell’Associazione italiana di Oncologia Medica (Aiom). Nonostante ciò, in molti casi accedere al test è un percorso ad ostacoli: diversi sono infatti i regimi di rimborso nelle varie regioni e non sempre sono disponibili laboratori di riferimento. Da qui l’appello degli oncologi per una informazione e un impegno maggiori da parte delle istituzioni nei confronti di una patologia altamente letale.
Il test è rimborsato dal Servizio sanitario nazionale anche nei familiari della paziente ammalata. La mutazione del Brca è infatti ereditaria e aumenta il rischio di ammalarsi di cancro alle ovaie: individuarla in una donna sana che ha però altri casi di tale tumore in famiglia, significa poter mettere in atto fondamentali strategie di prevenzione.