
Il tumore del grosso intestino e in particolare quello del colon-retto, oltre a essere molto frequente, spesso risulta aggressivo in quanto si diffonde a organi importanti come il fegato e frequentemente porta a morte, soprattutto perché non risponde alle terapie abituali. Ebbene oggi, grazie ai ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori, dell’IRCCS di Candiolo e dell’Università di Torino, sembra che sia stata individuata la causa dell’inefficacia di queste terapie nei confronti di questi tumori: gli studiosi hanno individuato un trattamento che blocca i due “interruttori del tumore”, la proteina mutata BRAF ma anche il più temibile recettore MET. In particolare sembrerebbe che la presenza anomala della proteina MET (un recettore localizzato sulla membrana cellulare) sia responsabile della resistenza alle combinazioni di farmaci impiegati per contrastare questi tumori. Lo studio è stato coordinato dal dott. Filippo Pietrantonio, oncologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, insieme a Daniele Oddo e a Federica Di Nicolantonio, rispettivamente dottorando e ricercatrice del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino che operano all’IRCCS di Candiolo e pubblicato sulla rivista Cancer Discovery.
“I primi risultati incoraggianti sono arrivati inizialmente sulle cellule cresciute in laboratorio. Sono poi stati confermati sul primo paziente trattato con questa associazione: con una nuova combinazione di farmaci il tumore si è ridotto di volume dopo pochi giorni di trattamento”, spiega il dott. Pietrantonio. Lo studio apre nuove prospettive per la cura di alcuni tipi tumori finora resistenti alle terapie convenzionali. Per i tumori del colon-retto – il secondo tipo di tumore più frequente in Italia con 40-50 casi all’anno ogni 100mila abitanti – in fase avanzata sono oggi disponibili infatti terapie a bersaglio molecolare che, insieme alla chemioterapia, consentono di raggiungere risultati che fino a vent’anni fa sembravano inimmaginabili. I progressi in questo campo sono stati resi possibili anche grazie allo studio delle caratteristiche molecolari di ciascun tumore. La mutazione dell’oncogene BRAF, che è presente nel 5-8% dei carcinomi intestinali, si associa a tumori particolarmente aggressivi e resistenti alla chemioterapia tradizionale. “Nel 2012 avevamo identificato in laboratorio un nuovo cocktail di terapie a bersaglio molecolare per colpire proprio i tumori del colon BRAF mutati”, spiega la dott.ssa Federica Di Nicolantonio dell’Università di Torino. Questi mix di farmaci mirati a bloccare le proteine coinvolte nella crescita dei tumori BRAF mutati sono ora oggetto di studi nell’uomo con risultati molto incoraggianti. “Il cancro però è un avversario scaltro e sfuggente, e anche l’efficacia degli ultimi ritrovati appare limitata dall’insorgere di una resistenza, che porta a ricadute di malattia dopo alcuni mesi”, commenta Pietrantonio, che collabora con il prof. Filippo de Braud, direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori e docente di Oncologia Medica all’Università Statale di Milano. “Nel momento in cui le nuove formulazioni di farmaci si sono mostrate inefficaci contro il cancro, i ricercatori hanno scoperto che uno dei meccanismi responsabili di questa farmaco resistenza nei tumori BRAF mutati era proprio la proteina MET, la cui presenza anomala inficia l’efficacia delle terapie. Delineare i meccanismi molecolari che caratterizzano il tumore è diventato fondamentale nell’era della medicina personalizzata. Questo lavoro – conclude Pietrantonio – è la dimostrazione che integrare la clinica con la ricerca in laboratorio è un’arma vincente per definire trattamenti specifici per i pazienti.”